Era l’estate del 1988. Il sottoscritto partecipava con encomiabile dedizione (insomma…) al corso allievi ufficiali di complemento presso la Scuola del Genio della Cecchignola, in quel di Roma. Era una specie di torre di Babele, con più di duecento diplomati e laureati tecnici giunti da tutta Italia per conquistare, sulle mostrine, quell’agognata stelletta dorata da Sottotenente. Erano già trascorsi un paio di mesi di addestramento, ma qualcosa ancora ci sfuggiva, nella logica di caserma.
A solo titolo di esempio, ecco uno dei grandi misteri della vita militare.
“Con quante munizioni gira per la caserma un uomo del PAO (picchetto armato ordinario)?” Ebbene, è arcinoto che un fucile Garand M1 ha caricatori da otto proiettili e che le giberne nelle quali vanno trasportati hanno a stento due posti per allocarli. Si presumeva inoltre che tutti (massimamente se diplomati o laureati) fossero in grado di eseguire la semplice moltiplicazione 2 X 8 per un totale di 16 proiettili. Ma se alla domanda dell’Ufficiale di Picchetto “Allievo, quanti colpi hai a disposizione?” si fosse risposto con la soluzione dell’operazione, ebbene… Apriti cielo! Si sarebbe rischiata la consegna di rigore.
Che fare, allora? Rifiutarsi di rispondere pareva cosa assai indelicata. Per fortuna, avevamo scoperto quale fosse l’unica risposta corretta. Per i più curiosi e con un po’ di vergogna svelo che si trattava di un semplice; “Come previsto dalla dotazione ordinaria”. L’Ufficiale di Picchetto ti elargiva un sorriso benevolo, tu scattavi sull’attenti e il gioco era fatto.
Ecco, in questo clima un po’ da “Allievo, se il buon Dio avesse voluto vederla pensare, l’avrebbe dotata di cervello” avevamo cominciato ad abituarci alle dinamiche di caserma e le giornate di addestramento, studio e verifiche passavano, pur se tra fatiche e pochissimo riposo, un po’ meno gravose.
Poi, in una soffocante mattina di fine agosto, una voce incontrollata prese a girare insistentemente per le camerate della Scuola: nel corso dell’imminente campo d’arma di tre settimane, saremmo stati affiancati da una troupe cinematografica intenta a produrre una serie televisiva ambientata nelle strutture militari del Bel Paese. Pareva una delle tante invenzioni fatte girare ad arte da qualche buontempone; ma due giorni dopo, alla porta carraia, si vide arrivare un breve convoglio di automezzi che recavano, sulla fiancata, il logo “LaserFilm”.
Non solo la notizia della serie televisiva era vera (sarebbe uscita nell’anno successivo con il titolo ancora adesso famoso di “Classe di ferro”), ma anzi le riprese sarebbero iniziate in quei giorni, con alcune scene girate all’interno della nostra caserma.
Molti di noi AUC (allievi ufficiali di complemento) erano romani e tra di loro c’era qualcuno in grado di ottenere informazioni direttamente dalla casa di produzione Titanus che aveva sede nella Capitale ed era al vertice dell’iniziativa.
Si venne così a sapere che nel cast della serie c’era la famosa soubrette Licinia Lentini, prosperosa attrice in grado di turbare le notti di molti adolescenti di quegli anni. La tempesta ormonale che ne scaturì ingenerò uno scompiglio impressionante tra le schiere degli Allievi. Iniziarono a diffondersi le illazioni più disparate: l’attrice avrebbe girato una scena allo spaccio truppa, verso le 14 .00; no, era invece segnalata al poligono pontieri, con tanto di tuta mimetica ed elmetto; falso! La si aspettava verso le 18.00 al ritrovo AUC vestita da crocerossina… Un mio compagno di camerata giurò di averla vista, con i gradi di Tenente colonnello, alla guida di un autocarro ACM. L’Allievo Gargiulo, in evidente stato di ebbrezza al rientro dalla libera uscita delle ore ventidue, prese ad urlare il suo nome in piazza d’armi, fino a quando, per la compassione dei suoi compagni di camerata, fu portato a forza in branda e sedato con una doppia dose di Cordial Saragoza.
Si verificarono spostamenti ingiustificati di truppe all’interno del presidio militare. Il PAO, trascurando per qualche giorno la dotazione di proiettili, sfruttava il suo ruolo di vigilanza interna per pattugliare ogni angolo più recondito. Della bella attrice, del resto, nessuna notizia certa.
Tra i compagni di corso di quei giorni c’è chi ancora adesso millanta di aver assistito personalmente ad alcuni “ciak” piuttosto conturbanti. Tutto falso. Licinia Lentini non oltrepassò mai la porta carraia della Cecchignola.
Tuttavia, una settimana dopo si partì davvero per il campo d’arma. L’installazione, adatta per accogliere circa trecento militi più una decina di ufficiali, fu montata nel bosco della Manziana, un meraviglioso sito naturalistico che in quegli anni era davvero allo stato selvatico.
Ultimammo l’allestimento alle prime luci del tramonto e ci ritirammo, sfiniti, nelle tende a sei posti.
La mattina successiva, con grande sorpresa, vedemmo arrivare nuovamente la carovana LaserFilm.
A bordo, questa volta, c’erano davvero gli attori. Ricordo, tra gli altri, Giampiero Ingrassia, Adriano Pappalardo, Paolo Sassanelli, Rocco Papaleo, Aldo Ralli (naturalmente di Licinia Lentini non c’era traccia).
In breve, fummo proiettati in un tour de force imprevisto. Oltre alle normali incombenze del campo d’arma (guardia, servizi mensa, esercitazioni…) diventammo facile preda del sistema cinematografico affamato di comparse. Va precisato che nessuno degli attori aveva svolto il servizio di leva (!?). Fu necessario spiegar loro tutto: dal saluto alla corretta tecnica di implotonamento, dai tempi dell’”Attenti!” alla correttezza formale della divisa.
Del resto, le loro mimetiche erano nuove di sartoria, mentre le nostre dopo svariati giorni di polvere e fango e a causa dell’impossibilità di lavarle “stavano in piedi da sole”, come fossero inamidate.
Una adunata fu girata quattro volte, perché chi interpretava il Capitano, all’atto della presentazione della Compagnia batteva i tacchi e salutava per primo un suo sottoposto (era logico il contrario).
Adriano Pappalardo, che impersonava il ruolo di un Sergente istruttore, era il più entusiasta di tutti. Gli insegnammo un paio di motivetti con i quali sgolarsi mentre conduceva il plotone e lui iniziò a infilarli in ogni inquadratura (qui l’esempio del cadenzato “Oh, Elèna!” e qui, invece, quello dell’autoreferenziale “Ci siamo tutti?”). Il nostro comando era stato calorosamente pregato di favorire la realizzazione delle riprese e lo fece, ci sembrò, con estremo zelo.
Tornavamo esausti dalle esercitazioni e poteva capitare che molti di noi fossero precettati come comparse. L’apice dello sfinimento fu raggiunto la notte dell’assalto notturno. Si trattava di raggiungere una postazione collocata in una radura situata a circa tre chilometri dal campo e di lanciare un paio di fumogeni in un perimetro tracciato sul terreno senza essere scoperti da una pattuglia difensiva. Le squadre, composte da una dozzina di Allievi, dovevano raggiungere il luogo convenuto in pieno assetto da battaglia (per capirci con zaino e fucile Garand), attraversando il bosco senza l’ausilio di torce. L’AUC Sedda, che aveva insistito con entusiasmo per fungere da apripista, precedeva il nostro gruppo di una quarantina di metri. Sfortunatamente, non eravamo stati avvertiti che sul territorio pascolavano libere alcune mandrie di bovini. Sedda ebbe un contatto ravvicinato con un toro. Nel buio quasi totale, si scontrò con una massa enorme “calda e soffiante come un diavolo”, ci raccontò il giorno dopo. S’intese un tramestio concitato, seguito da urla strazianti e l’AUC, senza più Garand e nemmeno rendendosi conto di aver superato nella ritirata la nostra postazione, fu visto perdersi tra gli alberi della Manziana. Recuperato la mattina seguente da un mezzo in cerca di dispersi, per alcuni giorni venne accolto alle adunate con ben dissimulati muggiti.
Le riprese durarono, se ben ricordo, una decina di giorni. Gli attori giungevano freschi come boccioli di rose a metà mattinata, reduci da una notte in albergo e da colazioni adeguate. Noi… insomma. A parte la fatica per l’addestramento, c’era quella difficoltà evidente di mantenere un aspetto adeguato. Nessuna doccia a disposizione e i pochi lavatoi da campo non invitavano ad abluzioni minuziose.
Qualcuno cominciò a preoccuparsi. Girava ora voce che per la fine delle riprese alla Manziana si sarebbe tenuta una festa con la partecipazione di tutta la troupe dello sceneggiato. Si preconizzavano balli eleganti e compagnia femminile di alta classe.
Molti considerarono la possibilità di affittare una stanza in Paese e sfruttare una delle rare libere uscite per tornare ad un aspetto meno selvatico. Non ce ne fu bisogno. Licinia Lentini non giunse mai alla sbarra d’accesso al campo d’arma (Sob!).
Atmosfere da Colonnello Buttiglione…
Ahahahah, io la guardavo Classe di ferro, non è che nella serie fossero meno imbranati di come appaiono nel racconto, eh. Figuriamoci se avessero dovuto girare Platoon, nella giungla, con attori che mai avevano fatto il servizio militare e con Martin Sheen infartato. AIUTOOOOO
A dire il vero, subimmo un po’ questa situazione. Fu un “carico di lavoro” supplementare, quando erano già abbastanza impegnativi i servizi di caserma, le lezioni, le verifiche, le esercitazioni ai poligoni. Più che altro, confesso che al momento credevamo un po’ tutti si trattasse di una sceneggiatura più seria, documentaristica. Il montaggio finale, con le parti aggiunte fuori caserma ha restituito un prodotto molto goliardico (forse davvero troppo).
Bellissimo racconto sulla realtà della leva militare in particolare e della vita militare “sotto le armi” come magari nostri familiari ci trasmettevano sulla loro vita da ufficiale . Molto divertente “la presenza” cinematografica di una troupe più figurata che reale.
Per rispondere alle educate “contestazioni” mossemi su altra piattaforma relativamente alle location della serie “Classe di ferro”, obiezioni che partono da quanto si trova sulla rete in merito a dove furono girate le scene della prima serie, confermo che molte delle riprese furono fatte nel Bosco Macchia Grande di Manziana. Lo so, semplicemente perché… C’ero! Mi si riconosce, perfino, in qualche inquadratura.
Avanti è la vita
Dietro, lo spaccio.
103mo AUC, presente!
132mo “Grifo”, presente! E pensare che convincemmo l’AUC N*******i che dietro il monumento ci fosse, ben dissimulata, la scritta “Dietro è la morte”. https://www.google.it/maps/place/Cecchignola,+Roma+RM/@41.8067058,12.4942558,302a,35y,39.41t/data=!3m1!1e3!4m6!3m5!1s0x13258bdcbab12c6b:0x8b5ba78d12d9a7fb!8m2!3d41.8081174!4d12.5230373!16s%2Fg%2F12330j0ch?authuser=2&entry=ttu&g_ep=EgoyMDI1MDMxNy4wIKXMDSoASAFQAw%3D%3D