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Il fascino discreto delle ‘piccole cose’

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Sollecitato dalla improvvisa apparizione di un interno domestico, dipinto e quasi trapunto col fiato dal pennello dell’autore, mi è tornato alla mente il piacere che provai più di trenta di anni fa alla scoperta di un piccolo e prezioso pittore tedesco Georg Kersting (1785-1847) che fu amico e seguace di Caspar David Friedrich, sodale di Goethe e legato ad un’ altra gentile pittrice del mondo incantato, romantico e ‘biedermeier’ di Dresda e Weimar, Louise Seidler.
Kersting fu autore di piccole dimensioni, soprattutto di interni assai ‘gemutlich’ (intimo, accogliente, confortevole e raccolto) che lo sorprendevano intento al cavalletto mentre dipingeva, oppure riflettevano gentili ragazze viste di spalle, come in uno specchio, mentre erano sul punto di affacciarsi ad una luminosa finestra, oppure si aggiustavano dolcemente la lunga fluente capigliatura.
Qualche volta, la atmosfera ‘biedermeier‘ era narrativamente punteggiata da una coppia di fidanzati in colloquio gentile, e il tutto era contenuto in una aria di luminosità diffusa proveniente da sorgenti laterali, o talvolta da un accurato studio della luce di una lampada emergente dalle ombre dell’ interno.

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Come Friedrich, Kersting voleva esprimere un accordo di sentimento e natura: era l’attimo romantico di una pittura che pareva fare il verso ai Lieder di Schubert e Schumann. Egli studiò e profittò del naturalismo danese, ma irrobustì il suo mestiere a Dresda, e poi nei viaggi da ‘perdigiorno’ compiuti insieme all’amico Friedrich nel Riesengebirge.
La sua pittura, così intimista e sintetica, mi venne incontro proprio nei primi anni Ottanta quando anche in Italia, con il desiderio di ‘ritorno alla pittura’, si tentava di raffreddare così le smanie d’avanguardia, le ansie distruttive e l’azzeramento della espressività come inevitabile punto di arrivo del ‘fare arte’.
La visione intimista e ‘minimale’ del poetico Kersting mi persuase che dopo i fragori e i rumori della più radicale contestazione, c’era pur sempre qualcosa da amare e rispettare: il fascino delle ‘piccole cose’ e il senso, tutto ‘borghese’, di un’arte dai modi delicati e gentili, capace di filtrare i sensi ed esaltarli in forme allusive e ben coniate, con il Gautier, ‘au four de l’émailleur’*.

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* “forno per smalto La citazione di Théophile Gautier si riferisce alla raccolta di 37 poesie intitolata appunto “Smalti e cammei”

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DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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