Il mento di zia Romilda

Devi strapparti quel pelo lunghissimo, si raccomandò, avvertitane l’ispida presenza carezzandosi il mento mentre ammirava le rigogliose fioriere del dirimpettaio. L’aveva osservato con sgomento scientifico, al mattino, durante la routine quotidiana, pulizia, crema, trucco… Un pelo smisurato, tra l’ innocua peluria che si cosparge sui volti senza destare insofferenza, rendendoli anzi più vivi, com’è viva e accattivante la buccia di una pesca matura… Ma l’astrusa monade smisurata sullo sfondo invisibile l’aveva dapprima incuriosita, poi determinata a rapida eliminazione. La pinzetta non c’era al suo posto solito, l’avrebbe cercata e trovata.
Intanto quei fiori di fronte a lei, esuberanti, incuranti di ogni intervento riduttivo, bellissimi, com’era stata certamente un tempo la sua faccia, quando al mattino la guardava allo specchio velocemente, le avevano sottoposto, per contrasto, la sua sfioritura.
Il mento di zia Romilda, e come dimenticarla, quando arrivava annunciata dal suo profumo di violetta di Parma, con le confezioni di caramelle alla frutta che non piacevano a nessuno, e l’immancabile offerta della guancia al bacetto delle bambine. Quei peli lunghi, incongrui e sparuti… ne avevano riso tanto da piccole, obbligate a scartocciare almeno una delle orribili caramelle all’amarena, o peggio ancora alla menta e a simulare piacere – quanto erano educate, incapaci di manifestare preferenza alcuna!- fino a immaginarne l’estirpazione proprio attaccandoli con l’odiosa caramella, come fosse una goccia di ceretta!