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Società

Il rap del turbante

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Immagine di Aglaja

Statale. Ore 8 pm. Il piede sull’acceleratore è pesante quanto la giornata, già sfiancata dalla temperatura che si avvicina a quella corporea. Un paio di gradi in più e diventa febbre, altro che estate.
Sul ciglio due figure, così piene di colori che l’asfalto bollente rende vividi, quasi accecanti. non mi posso fermare, forse non ne ho voglia, ma tre chilometri dopo sono ancora con me. Tanto vale. Me le porterei fino a casa comunque, nella testa. Inverto a U.
Nonna e nipote della Guinea. Sorridono, le faccio salire, mi fanno capire che mamma e altra figlia sono indietro. Benissimo, ho posto per tre, ma chissene, siamo una scatola di sardine. Parlano in francese, lo so, un passo avanti destinazione opposta alla mia. Sono in ballo, ballo!
Si va, le bambine non mi lasciano guidare, mi toccano i capelli, ridono, giocano. La mamma, timidamente, cerca di arginarle. No, no, va bene così. È bellissimo. Il profumo d’Africa satura l’abitacolo, me lo annuso tutto.
Haby, la nonna, è stupenda: alta, fiera, elegante, regale nel suo lungo abito giallo e rosso, con il turbante che brilla agli ultimi raggi di sole. Mi guarda, mi parla, mi dice che ho un cuore grande e vuole sdebitarsi. Le chiedo di insegnarmi a fare quel copricapo, prima o poi. Ridiamo.
Mi perdo tra le colline e i boschi, poi finalmente la casa dove fanno le badanti. Nella mia mente immagino una persona anziana, ma entrando (mi hanno voluto trattenere con loro, le bimbe non mi lasciavano la mano) corrono ad abbracciare un ragazzo, immobile su una sedia a rotelle, a me viene una roba in gola che non va nè su nè giù. Loro invece ridono, gli fanno le feste, gli scherzi.
Trentacinque anni, vedovo, con sclerosi multipla. Mi abbraccia e mi ringrazia. Poi, improvvisamente, si mette a rappare battendo il tempo con le mani sul tavolo.
Il rap dice della sua rabbia, dice della sua vita, dice delle sue donne colorate, dice anche di me. Le bambine corrono a prendere i bongo, a quel punto tutto diventa ritmo, canto, ballo, colore, vita.
Ballo con loro. Ho ballato da quando mi sono fermata.

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MONICA CAMILLA TORINO

Non posso scrivere la mia vita, è lei che scrive me. Abbozza, sbaglia, corregge. Mette punteggiatura a casaccio. Raramente mi lascia fare l'editing.

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