La mensola del Cantagalli

Ho trovato un’altra cosa preziosa, girando per mercatini. È una mensola di ceramica firmata Cantagalli Firenze. È di una bellezza quasi insostenibile (capisco finalmente cosa sia la Sindrome di Stendhal, come sia davvero possibile rimanerne vittima e forse non è un caso che venga chiamata anche Sindrome di Firenze).
Si tratta di una cariatide in guisa di dragone con coda palmata cavalcato da un putto con le ali. La mensola ha dietro il suo bel marchio Cantagalli riconoscibilissimo e il filo metallico originale con il quale dev’essere rimasta appesa in una casa per almeno un secolo. Sì, perché questa meraviglia è databile approssimativamente attorno all’anno 1880. Come sia arrivata in mio possesso e per quale allineamento planetario io l’abbia pagata infinitamente meno del suo valore effettivo, questo non è dato sapere. Chi la teneva in bella mostra sul banchetto del mercatino e le centinaia di persone che devono esserci passate davanti non erano evidentemente degli esperti.
L’ho portata a casa con il terrore di poterla anche minimamente scalfire, fasciata in uno straccio fornitomi dal venditore e poi immediatamente avvolta in un foglio di pluriball per imballaggi. Giunta in perfetta salute sul tavolo della sala, lì è rimasta in esposizione permanente unicamente per il mio godimento personale. Ogni tanto, interrompevo le faccende domestiche e andavo a prendermene una vista. Va detto che un tale oggetto non è come un vaso o una statuina, e dovendola appoggiare in orizzontale (ché per poterla sistemare in verticale si dovrebbe appoggiare sul pian di mensola e quindi resterebbe capovolta), si perde in pratica tutto il significato estetico della composizione.
Ebbene, dopo quarantotto ore di adorazione silenziosa ho dovuto convenire che l’unica alternativa a chiuderla nel classico scatolone era quella di riportarla alla sua funzione originaria e dunque di appenderla. Potevo così metterci sopra un bel vaso della stessa manifattura, già in mio possesso da tempo.
Va detto, per chi non mi conoscesse, che sono un attempato ingegnere strutturista. Condizione che dovrebbe pormi in una situazione di vantaggio nella realizzazione di una semplice tassellatura a muro. Pur tuttavia è successo che…
No, aspettate, cosa avete capito? Mi corre l’obbligo di rassicurare i miei ventitré lettori (due meno di Manzoni non è male) sull’epilogo della vicenda. Chiariamo pertanto e subito: non si è verificato nessun crollo e la mensola gode ancora di ottima salute.
Tuttavia, considerando il valore artistico dell’oggetto, prima ancora di quello puramente economico, non vi nascondo che ha iniziato a cogliermi un’ansia subdola, la paura irrazionale che non vi fosse sistema di ancoraggio a parete in grado di garantire che l’oggetto non cadesse preda della forza di gravità e non si schiantasse sul pavimento.
Individuata la collocazione più opportuna, sono corso in ferramenta per procurarmi l’occorrente. Ero partito con la convinzione che potesse essere sufficiente un robusto tassello di plastica del diametro di sei millimetri. Ma già prima di giungere al negozio, mi ero convinto che tanta bellezza dovesse essere affidata alla consistenza di un supporto metallico. E anche il calibro del “fischer” risultava lievitato, a quel punto, ad un più rassicurante otto millimetri.
– Vorrei un tassello a espansione da… da ott… no, da dieci millimetri – ho detto al commesso.
Quando me l’ha posato davanti, sembrava inspiegabilmente striminzito. Affidare tutto quell’incanto a un misero pezzetto di metallo?
– Guardi, – ho detto – a ben pensarci sarà meglio che io lo prenda da dodici. O magari addirittura…
Il ragazzo doveva aver già capito la situazione.
– Ma cosa deve appenderci? – ha chiesto, socchiudendo gli occhi.
– Roba delicata. Roba che se il tassello ci molla…
– Di quale peso stiamo parlando? – ha tagliato corto il
commesso.
– Cinque chili di una mensola e, diciamo, altrettanti di un
vaso da metterci sopra.
– Pensavo volesse agganciarci un quarto di bue – ha considerato.
– No, quello no: sono vegetariano.
– Ascolti: evidentemente lei non ha esperienza. Le do un tassello del dieci perché a darglielo più grosso mi
sembrerebbe di commettere un furto.
– Ma guardi che io sono un ing…
– Cos’è, lei?
– … Sono un ing… ingenuo, ecco.
– Ah, adesso è tutta chiaro. È per quello che non la voglio truffare.
Sono tornato a casa col fischer da dieci e una punta per calcestruzzo dello stesso diametro. Ho preso due misure e ho fatto il foro senza problemi. Poi, ho inserito il tassello e ho iniziato a stringere. Sembrava tutto perfetto. A prenderlo con una mano e facendo un po’ di sforzo verso il basso neppure accennava a muoversi.
Ho accostato la mensola al muro, assicurandomi che il legaccio in acciaio passasse dentro il gancio e…
A qual punto avrei dovuto lasciare la ceramica, controllare che fosse correttamente inclinata e poi andare a guardarla da qualche passo di distanza. L’ho fatto centinaia di volte, con i quadri o i pensili. Ma non ci riuscivo. Non riuscivo a staccare le mani dalla mensola del Cantagalli, ormai convinto che voltate le spalle e fatti due passi avrei sentito lo schianto. Come lo scozzese che continua ad aprire il frigo, scettico sul fatto che la lucina interna si spenga, la mia fiducia sul tassello era ridotta ai minimi termini.
Un attimo, solo un attimo ho scostato le mani, ma ho dovuto immediatamente rinunciare. Così, ho tolto la mensola dal gancio e ho proceduto con un collaudo. Ho legato due manubri da ginnastica per un totale di dieci chili e li ho appesi al gancio. All’apparenza, reggeva benissimo, ma a me non bastava. Ne ho aggiunti altri due per un totale di sedici chili e non contento di questo ho perfino afferrato la corda e tirato verso il basso. In totale, lo sforzo applicato non poteva essere inferiore ai quaranta chili.
Eppure non ero ancora convinto. Sono andato a controllare su Internet. I tasselli sono corredati di tabelle che ne valutano la resistenza. Il mio doveva garantire non meno di ottanta chili!
Ah si?! Facevano presto “loro” a sparare valutazioni. La mensola era abbastanza aggettante (massimamente col vaso sopra) da generare una forza eccentrica con braccio di una dozzina di centimetri. Mi sono messo a calcolare la componente orizzontale di sfilamento del fischer (a me non la si fa, sono della partita).
Niente da fare: per quanto mi sforzassi di calcolare la sollecitazione con le peggiori condizioni, venivano fuori valori sostanzialmente ridicoli. L’applicazione di un coefficiente d’attrito degno di un muro di burro continuava a garantire una irragionevole sicurezza.
Non ho trovato il minimo fattore che avvalorasse una situazione preoccupante. E nonostante tutto, riappesa la mensola, quelle mani non riuscivano a staccarsi dalla sua base. Novella cariatide io stesso, ho passato così una buona mezzora, impegnato in ridicoli tentativi di lasciarla al suo eventuale destino per poi tornare precipitosamente a reggerla.
La situazione è andata di molto peggiorando quando mi sono deciso a piazzare sul piano di ceramica il bel vaso pieno di minute “grottesche”. La faccio breve. Mi ha salvato l’arrivo di una chiamata al telefono fisso. L’ho passata tutto il tempo (dieci minuti) ad osservare da una mezza dozzina di metri la mia installazione ottocentesca. Più di una volta sono stato colto dal dubbio di aver scorto impercettibili spostamenti dell’asse della mensola, ma ho resistito. Verso sera, mi sentivo molto più tranquillo e arrivata la mezzanotte, dopo un ultimo saluto alla Cantagalli sono andato a dormire.
Sono stato però svegliato da un fragore micidiale quando l’orologio segnava pressappoco le tre. Mi sono precipitato in sala, al contempo assonnato e terrorizzato. La mensola del Cantagalli era lì al suo posto e lo schianto doveva essere l’effetto di una mente ancora sovreccitata.
Ora sono davvero sereno. Mensola e vaso si sono ritrovati inaspettatamente dopo 150 anni dalla loro nascita e danno bella mostra di sé nella mia sala. Sul loro destino sono assai più rassicurato, anche perché domani vado a comprare un tassellino dell’otto, lo piazzo sopra quello del dieci e li collego con un cavetto e un paio di redance, così che…

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