La pace e il solco

La pace. Una pace voluta da USA e paesi arabi. Ma pace sbilenca è.
Al margine penso a quante amicizie tra di noi sono finite, quante persone si sono vicendevolmente allontanate per colpa di questa guerra. Fratture profonde e quasi insanabili tra chi sostiene le ragioni della Palestina e del massacro avvenuto e chi sostiene Israele e i suoi ostaggi. Nessuna mediazione possibile, uno scontro totale, l’avversione al posto della vicinanza. Questo è successo nella nostra apparentemente civile Italia. Insulti, urla, cattiverie anche personali, una spaccatura, una falcidia di legami che sembravano inattaccabili. Mi fa una tristezza sconfinata perché prevalgono il settarismo e idee ancestrali al cospetto di un pensiero più logico e umano delle divergenze religiose e politiche.
In mezzo morti, distruzione, fame e dolore dove l’odio prende il sopravvento su tutto. Anche tra noi, irragionevolmente. Ho sempre cercato un ponte tra le mie idee di rispetto umano (sto dalla parte di chi si è visto togliere tutto, dover lesinare un pezzo di pane, morire per mancanza di medicinali e cure, piangere migliaia di morti di ogni età sotto le macerie e all’aria aperta, tanto per essere chiari) e chi si vede attentare a un’identità che sta nelle viscere dalla notte dei tempi. Ho cercato di ascoltare il senso oltre il senso al quale fatico a arrivare.
Si può andare oltre? Si possono ricucire gli strappi o il nuovo confine è stato definitivamente stabilito? Non lo so, perché l’uno dice all’altro che è cieco, non vede. Forse occorrerà aspettare che non se ne parli più, che altro accada nel mondo. Ma lì, in quella terra martoriata si è scavato un solco che è arrivato anche qui.