la “Scindiroeura” Una Cenerentola tutta lombarda

Calvino ci ricorda, nel suo saggio “Sulla Fiaba”, che non c’era variante delle fiabe che non lo attirasse, poiché ogni racconto poteva diventare un’altra storia o tante altre storie a seconda dell’utilizzo che il narrante in diversi tempi e luoghi ne avesse fatto. Le svariate versioni, gli abiti scelti, i luoghi di volta in volta inventati mostravano comunque le stesse figure, quasi archetipiche, del genere fiabesco. Per lui le fiabe erano quasi la metafora dello stesso scrivere, del narrare, una sorta di fonte comune da cui scegliere un soggetto, un argomento per procedere alla creazione di un’altra storia. Una sterminata “campionatura della molteplicità potenziale del narrabile”. Un mondo quindi infinito.
Per Calvino esiste un nucleo primario narrativo con caratteri mitici e antropologici tale da poter dar luogo ad una combinazione artistica sconfinata, che il singolo scrittore enucleerà a modo proprio. Gli elementi adattabili alla continua trasformazione sono nascosti in quel mondo quasi arcano, come un bosco sconfinato, dove il narratore inseguirà una strada propria per far emergere un elemento nascosto, che sarà il suo racconto, dissotterrato dal mistero originario.
Quindi, le fiabe sono non verosimili ma vere, sono il mondo dove noi tutti abitiamo, dove possiamo riconoscere continuamente le nostre vite, le nostre esperienze già raccolte e organizzate originariamente. Ecco perché Lella Ravasi Bellocchio ha scritto un interessante saggio sulla fiaba, partendo proprio da Calvino e ispirandosi alla propria matrice di pensiero, la psicoanalisi junghiana. “La Fiaba siamo noi (storie che ci possono salvare)”, 2022.
Le nostre vite si intersecano con quelle dei personaggi fiabeschi e le parole possono fornirci strumenti illuminanti per la comprensione di noi stessi. La fiaba diviene insomma non solo origine delle narrazioni ma punto di riferimento per la comprensione delle nostre vite che si intersecano con la simbologia dei racconti e da essi stessi sono ispirate. Capire la fiaba è cominciare a comprendere noi stessi e quindi aiutarci proprio attraverso i tortuosi sentieri che esse descrivono.
Dal mondo originario di Calvino alla archetipicità junghiana il passo per la Ravasi è scontato. La fiaba diviene la seduta di analisi e dentro di essa si svolge e riavvolge il filo della nostra vita. Le parole sono preziose perché nel raccontare risalgono all’origine ed esplicitano il senso dei nostri comportamenti e del nostro sentire che pur essendo soggettivo si oggettivizza nella storia comune, la storia narrata nelle fiabe. E così i ricorrenti temi del bosco, della notte, delle streghe, degli orchi e dei principi azzurri salvatori di cenerentole vittime/ vincitrici, sono i temi della nostra vita che ci ha portato su sentieri più o meno irti.
Allora la fiaba assume anche un altro ruolo, diventa potenzialmente salvifica, come una terapia. Riscopriamo quindi una fiaba famosissima come Cenerentola ma nella versione popolare antica lombarda: La “Scindiroeura”:
Ona volta gh’era on Re. El gh’ aveva ona tosa. L’era tanto bella che le voreva per sposa, la voreva sposà per mièe; e lee la voreva minga, perché l’era vecc”
Così inizia la fiaba ed è già emblematica di significati vecchi come il mondo, il re ha una figlia bella e non vuole darla a nessuno, addirittura la chiede in moglie!
Chiaramente la ragazza non vuole, ma il motivo risulta strano, perché era vecchio!
La fiaba di Cenerentola ha più di cinquecento versioni in tutto il mondo, ed è diventata nel tempo oggetto di studi psicoanalitici come del resto altre fiabe e racconti. Oltre, si capisce, essere oggetto di ricostruzioni filologiche, antropologiche, folkloristiche e linguistiche. La fiaba insomma è un cuore pulsante che rispecchia storia e costumi, tempi e modi del vivere. La Ravasi si chiede “perché” Cenerentola abbia riscosso un tale interesse anche nei movimenti femministi che ne hanno fatto una portavoce delle rabbie ma anche delle contraddizioni che questo personaggio porta con sé nel suo aspetto autoflagellante, punitivo.
Riporto le altre citazioni in italiano per rendere più agevole a tutti la lettura.
“Lui però continuava a scocciarla perchè la sposasse e così lei un giorno per accontentarlo gli dice: “dammi due vestiti che mi piacciano e un’ochetta che parla, e ti sposo”
Il re le fa confezionare due abiti, uno pieno di stelle e l’altro coi raggi del sole, e le procura un’ochetta. Il re dal letto quella sera la richiede ma lei fa un fagotto con gli abiti e mette l’oca in un catino pieno d’acqua. Alle richieste continue del re risponde l’oca “ora vengo”. Il re si addormenta e la fanciulla scappa coi vestiti nascosta dentro un mantello chiamato “bello e brutto” da cui si potevano riconoscere solo gli occhi.
Una cenerentola che non deve solo fare i servizi in casa, ma dovrebbe sposare il padre. In culture sotterranee e popolari ciò avveniva evidentemente. E l’incesto era parte del possesso maschile, patriarcale nel più abbietto, istintivo, violento significato.
Ma la Scindiroeura ha per fortuna altri progetti.
“Si era messa in viaggio, continuando a viaggiare fin quando aveva trovato una città in cui viveva un Re”
Fuggire innanzitutto da quel mondo di assurde pretese e andare alla ricerca, ma di cosa? Di un altro re, perché la Scindiroeura vuole comunque un re, vuole il massimo. Caratteristica evidente anche nella Cenerentola più conosciuta, che fa i servigi alla matrigna cattiva e alle sorelle birbone ma in mente ha un piano ben diverso, andare al ballo alla corte del re e conquistare il cuore del personaggio più ambito, il principe ereditario.
Così si presenta alla porta del Re e dice alla guardia di chiedere alla regina se la vogliono prendere a servizio per fare la donzella. “Non hai vergogna” dice lui “bruttona come sei a cercare di venire a fare la donzella?” Ma lei torna e prega affinché la prendano a lavorare come s”cindiroeura, la ragazza che sta ai fornelli e al focolare a raccogliere la cenere”
Trova accoglienza presso la regina che bonariamente la prende a servizio. Lavora lavora e se ne conquista la benevolenza, tanto che quando il principe – figlio del re – organizza un ballo a corte ottiene di potersi allontanare solo un attimo dal focolare per poter guardare la festa dal buco della serratura!
Durante il ballo la scindiroeura dice alla Regina: “Oh, Signora Regina, mi lasci andar a guardare almeno dal buco della serratura, a vedere come fanno a ballare, perché non l’ho mai visto” e la Regina acconsente.
Intanto è notevole il capovolgimento di alcuni ruoli in questa versione della fiaba, la Regina che ha confidenza con la serva e acconsente denota una tradizione meno aristocratica dell’ambientazione, una prospettiva più popolare in cui la regina ci sembra più una madre di famiglia benestante ma non iconica. La scindiroeura va a cambiarsi velocemente e indossato l’abito pieno di stelle entra nella sala del ballo. Balla col principe ma subito lo lascia per tornare al lavoro, indossando nuovamente il casto “bello e brutto”, quella sorta di saio o mantello che lascia scoperti solo gli occhi e che in qualche modo sembra somigliare ad un hijab. Ciò ci fa riflettere su possibili contaminazioni letterarie probabilmente risalenti a fasi solo orali della diffusione narratologica.
La scena si ripete alla festa successiva che il principe organizza per poter rivedere la ragazza dagli occhi incantevoli. Questa volta ella indosserà l’abito pieno di raggi di sole e abbaglierà definitivamente il ragazzo. Ma riesce a sfilargli anche un anello, in quanto è molto abile e ha in mente il suo programma ben chiaro.
Il giorno seguente il principe organizza un’altra festa ma lei non ci va.
Il ragazzo disperato per aver perso la giovane che gli piaceva si ammala e si chiude nella stanza senza voler più mangiare. Classica crisi adolescenziale.
E qui la Scindiroeura trova la strada per arrivare al principe, si offre per portargli il cibo in camera, lei, si, la cenerentola. La regina la rimbecca, dandole della stupida, proprio lei, non verrà ricevuta. Ma lei sa il fatto suo e insiste e la madre acconsente. Una certa confidenza, dunque, tra la regina e la donzella, che ci mostra una economia domestica diversa, più innovativa, in cui le distanze si accorciano. Teniamo presente però che la cenerentola è in realtà una principessa anche lei.
Così lei va nella sua stanza e prima di andare dal Principe indossa l’abito con i raggi del sole.Così vestita gli porta il pancotto in cui ha messo l’anello e lui, allora, nel vedere questa bella ragazza, dalla felicità guarisce e la sposa”.
Lella Ravasi ci offre questa interpretazione psicoanalitica:
“Dal punto di vista psicoanalitico questo percorso può indicare la strada dell’individuazione, è un modo di partire dalla difficoltà e dall’assenza per arrivare alla presenza di sé; in questo senso la storia è un processo femminile di trasformazione.”
È incredibile come una fiaba popolare possa enucleare complessi rapporti esistenziali, percorsi da seguire giustamente ed ineluttabilmente. La fiaba, insomma, riassume la vita.
Dobbiamo sottolineare che nella casa paterna manca nelle varie versioni di Cenerentola la figura materna, in generale perché il re è vedovo e solo, o ha una nuova sposa, la matrigna, con figlie da sistemare, e molte difficoltà ad accettare una rivale nel cuore del re cioè la figlia del suddetto.
Lella Ravasi continua: “La ragazza è infatti insidiata dal padre perché non c’è la madre, in quasi tutte le fiabe che parlano di un percorso iniziatico femminile, la madre non c’è.”
“Le fiabe, raccontando l’assenza della madre, ci dicono del tema della separazione, ci dicono che la strada dell’individuazione, per una donna, passa attraverso il distacco dalla madre. La matrigna o la madre assente esprimono quel “doppio” del materno e, così facendo, esprimono l’inevitabilità del percorso di solitudine per differenziarsi”.
Partendo dunque da questo tipo di interpretazione la fiaba ci appare come un mondo simbolico, spesso magmatico, sintetico di un discorso non fatto, non esplicitato. L’assenza della madre è interpretata come una necessità per potere andare avanti nel cammino da bambina ad adolescente a donna. La fiaba, dunque, sembra risolvere il problema eliminando il personaggio madre o sostituendolo con una matrigna persecutrice, gelosa, che non permette lo svolgersi di quel percorso e sembra quindi sviscerare le parti peggiori del rapporto madre/figlia.
Ma in verità è un problema di separazione, di taglio del cordone ombelicale definitivo, non solo fisico.
Nel caso della Scindiroeura, la madre manca e il padre diventa incestuoso; quindi se manca la madre, bisogna però evitare anche di accondiscendere al padre che rappresenta il maschile, l’appartenenza, il possesso, il rimanere infantili. Per una ragazza, è necessario non solo separarsi dalla madre ma rifiutare il padre. La protagonista imbastisce quindi una recita, finge di accondiscendere e per fortuna sceglie la strada della fuga.
“La partenza non avviene da zero; l’eroina se ne va via, ma con due vestiti, prende con sé tutto ciò che può servire, che fa parte del suo rango. Questo può essere visto come indicativo del fatto che quando noi ce ne andiamo, non ce ne andiamo a nudo: alcune cose che provengono dalla nostra storia le portiamo con noi e ad un certo tempo, non si sa quando, ci torneranno utili.
Ci portiamo via le cose più preziose – e qui sono i due vestiti (uno con i raggi del sole e uno con le stelle: le parti maschili e femminili dell’io) – e cioè quanto di buono c’è stato dato dal padre e dalla madre.”
Ma vediamo dal racconto che non basta fuggire, ma anche coprirsi davanti ad un eventuale pericolo in questo momento così difficile dell’adolescenza che è appunto l’emancipazione: il mantello, il “bell e brutt” rappresenta una risorsa, un travestimento che lascia intravedere ma nasconde. Non ci si può ancora mostrare del tutto, bisogna celarsi per non sprecare la crescita che sta avvenendo e che altrimenti andrebbe perduta.
“L’abito è il nostro modo di stare al mondo, è il nostro ruolo, bisogna essere capaci di usarlo: si può uscire dal ruolo quando la situazione lo consente, quando siamo abbastanza forti della nostra integrità di persona, da non avere più bisogno di protezione”.
E queste parole della Ravasi ci portano a riflettere, indossiamo molti abiti nell’adolescenza, quelli imposti dal costume familiare ma anche quelli più trasgressivi per copiare le amiche, o per essere alla moda. Se lo facciamo molto disinvoltamente possiamo essere perseguitate, castigate, se invece ci inoltriamo a passi lenti ma anche coraggiosi nella scelta, possiamo alla fine dismettere i vari tentativi e trovare la forma giusta.
“L’eroina va per tentativi: in un primo momento cerca, essendo figlia di un re, di fare la dama di compagnia. Il fatto che sia coperta dal bell e brutt impedisce alle guardie di riconoscerla; la guardia si potrebbe intendere come un meccanismo di difesa dell’io che ci ostacola. Diciamo che nel processo di trasformazione, i meccanismi di difesa rallentano l’acquisizione di una nuova identità. Allora c’è solo da lavorare per il cambiamento, almeno fino a quando i meccanismi di difesa saranno vinti. La Scindiroeura accetta di fare un lavoro umile ed è il suo trucco: lavorare con la cenere.”
Quindi, prima si deve passare per l’umiltà del rapporto con la cenere, con i resti del passato e da essa rinascere, come del resto ci informa il mito. Farsi cenerentola è dunque accettare che un mondo, quello infantile, pieno di poteri, è finito. Ci si deve individuare, trovarsi e nel mondo femminile diventare donne. Se non si riescono ad attraversare questi passaggi costrittivi non si riesce a raggiungere l’identità femminile completa. La cenere è un passaggio obbligato e un atto di umiltà, di riconoscimento della fine e dell’inizio di una nuova era.
Anche i passi successivi della fiaba sono importanti: la Scindiroeura riesce a partecipare al ballo del principe coi suoi due abiti fatati, che sono tutto quel che lei possiede e l’eredità della sua infanzia. Ha i raggi del sole e la luce della luna, insomma l’unicum di donna, anche se può mostrarlo con timidità, per non fare passi falsi. Tutto sommato la madre del principe la aiuta, non la ostacola, le consente di sbirciare il ballo, che lei, poi, di sua testa, raggiunge e conquista l’amore del principe. Deve poi ritrarsi e aspettare. La madre del principe, dunque, è una figura materna non matrigna, più permissiva, il ruolo insomma di madre che deve accompagnare lo sviluppo della nuova donna. Quello che nella Cenerentola tradizionale è la fata, un personaggio d’aiuto che sblocca con astuzia la situazione.
Il principe alla fine si ammala di Amore e non sa dove trovare la splendida ragazza incontrata alla festa. C’è un momento di assenza dove lei deve essere forte, prendere una decisione, mostrarsi alla fine definitivamente come donna: i due si incontrano perché lei riesce a raggiungerlo nelle sue stanze per portargli il pancotto, per guarirlo. La regina lascia fare e Scindiroeura arriva al principe, cioè al suo completo farsi donna, dopo passaggi molteplici e complessi.
“Questa unione prelude a un “lieto fine” in cui la fanciulla è così sicura della propria identità che può tornare dal padre. Si può vedere come era una volta fare pace con la parte di sé che aveva dovuto lasciarsi alle spalle. Per andare incontro al nuovo bisogna lasciare la vecchia legge, il mondo di idee e valori consolidati.”
Il nuovo non nega il passato, lo accetta in forza del cambiamento, della nuova risoluzione di se stessi.

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