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Costumi

La torta di Linz

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Ogni anno, in primavera, le cugine si incontrano per scambiarsi chiacchiere e ricordi e ricette della loro vecchia famiglia. Poi, Lycia, Magda e Manuela, tornando alle proprie case, provano regolarmente a cucinare una torta secondo le parole tramandate e i sapori lontani.
Zia Petronilla aveva portato dall’Austria la tradizione prussiana di preparare una torta natalizia a base di mandorle, caffè, zucchero e albume: era la “torta di Linz” della quale le piccole Gemma, Lidia e Mariella, nate a distanza di poco tempo l’una dall’altra erano ghiotte.
In famiglia tutti mantengono ancora il bel ricordo di quelle tre signorine vissute quasi per cent’anni che pur non avendo disdegnato, in gioventù, la corte di qualche giovanotto di buona famiglia, non si erano mai sposate. Erano rimaste sempre insieme, per tutta la vita.
La mamma Petronilla e il papà Lionello quando fu il momento lasciarono alle tre sorelle la grande casa di Milano dove avevano abitato tutti uniti per tanto tempo. Continuarono a mantenere le loro stanze dove nei grandi armadi conservavano i loro vestiti, belli, bellissimi, tutti quasi uguali.
Nei settimini avevano biancheria e camicie, corpetti di pizzo e merletti. Tutte e tre da piccole avevano appreso l’arte dei pizzi lavorati al tombolo e in ogni stanza c’era uno di questi strumenti, piccoli preziosi sostegni di legno lavorato dove poggiava il cuscino. Gemma era la più grande e la più brava in questi lavori e le toccava anche fare i conti con il mezzadro che arrivava dalle parti di Lodi due volte l’anno.
Le tre sorelle avevano ereditato anche un piccolo pezzo di terra con un po’ di vigna, un grande noce e tre alberi di mandorle. Rinunciavano a tutto il defruttato in cambio dell’intera produzione delle mandorle. Loro non erano mai andate a vedere quel pezzo di terra e, pur certe che Mauro le imbrogliasse, non interferivano mai, salvo che per le mandorle.
Pretesero che a ogni albero venisse dato il nome di ognuna di loro e che anche il raccolto fosse consegnato separatamente in tre sacchi (mezzi sacchi) distinti dal nome. Le mettevano ad asciugare sul terrazzo al sole, ognuna in un posto lontano dall’altro, in modo che fossero sempre riconducibili alla proprietaria.
Quando decidevano che era arrivato il momento, cominciavano i preparativi della torta di Linz. Ognuna la faceva secondo la ricetta di mamma Petronilla, ma con una variante mai confessata. Insomma, erano tre torte uguali ma con un piccolo tratto di diversità, proprio come erano state loro per tutta la vita.
Avevano conservato anche l’abitudine infantile di dire piccole bugie quando sentenziavano, tutte e tre, che «il sapore diverso della mia torta è dato dalla qualità delle mie mandorle, che sono decisamente le migliori di tutte».

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ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

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