Joyce Carol Oates è la più prolifica autrice vivente di narrativa. Ha scritto così tanti romanzi e racconti che Wikipedia si limita a dare l’elenco dei titoli. Molti sono thriller, racconti di violenza sulle donne, romanzi su serial killer, tanto che Oates è stata spesso definita una scrittrice dall’immaginazione “morbosa”. L’ultimo romanzo uscito è “Macellaio”: un dottore fa esperimenti macabri in un Istituto per malate di mente, donne povere usate come cavie. La storia, basata su autentici documenti storici e non sull’immaginazione “morbosa” della scrittrice, è ambientata in New Jersey nel 1836, ma l’Istituto mi sembra una calzante metafora dell’attuale governo americano e della sua morbosa ostilità alle donne.
Il tema della violenza misogina è presente anche nel bel romanzo di Oates su Marilyn Monroe (“Blonde”) e nella versione romanzata dello scandalo del senatore Ted Kennedy, che cadde con l’auto da un ponte insieme alla segretaria e pensò solo a salvar se stesso, lasciandola morire affogata (“Acqua nera”). La violenza in America è stata normalizzata a tal punto che la gente è assuefatta anche alle sparatorie nelle scuole. Scrive Oates: “Lo scrittore serio porta testimonianza” al reale, alle vittime di un fenomeno così diffuso e patologico. I suoi romanzi e racconti svelano la violenza in tutte le sue forme.
Io mi limito qui a commentare un suo articolo pubblicato sul “New York Times” nel 1981. Dopo 44 anni, il testo non è invecchiato di una virgola. Oates narra dei suoi viaggi per le università d’Europa a tener conferenze e dibattiti. Ad ogni tappa, dall’Inghilterra alla Polonia, giovani uomini le facevano sempre la stessa domanda: “Perché i tuoi scritti sono così violenti?” Dipende dalla tua esperienza personale? forse dall’infanzia? o dal temperamento che ti fa distorcere la visione dell’umanità e della storia?
Questa domanda le era stata fatta nel 1981 anche a Varsavia, dove solo 37 anni prima era iniziata l’insurrezione polacca contro i tedeschi, terminata con duecentomila polacchi massacrati. Varsavia era stata distrutta dall’esercito tedesco, mentre l’Armata Rossa aspettava oltre il fiume Vistola (per dare ai tedeschi in ritirata cinque settimane di distruzione) prima di “liberare” quel che restava della città.
“Quando le persone dicono che c’è troppa violenza nei miei libri, quel che davvero dicono è che c’è troppa realtà nella vita”. (Oates)
La stessa domanda le fu posta a Berlino, non lontano da dove Hitler aveva dichiarato la Seconda Guerra Mondiale, e Goebbels aveva parlato di “guerra totale”. “Ha avuto un’infanzia infelice, Miss Oates? È stata spesso spaventata dalla vita?”
Quel che indirettamente le veniva suggerito era di concentrare la scrittura su argomenti “domestici”, “soggettivi”, e di lasciare le grandi questioni sociali e filosofiche agli uomini. Non era il caso di guastare la propria femminilità. Oates trovava le domande offensive, sessiste.
“Sembriamo aver ereditato la maledizione della psicanalisi: l’ipotesi che scontento, rabbia e disperazione risiedano in chi ne soffre piuttosto che fuori”. (Oates) Se è la donna a soffrire di un senso di ingiustizia e ribellione, ciò è dovuto alla sua invidia, e quindi non va presa sul serio.
Allo scrittore maschile è permesso, come argomento di scrittura, il vasto mondo, come la Russia di Dostoevskij e gli oceani di Melville. “La guerra, lo stupro, l’omicidio e altri crimini minori rientrano nell’esclusivo territorio dello scrittore uomo, così come rientrano nell’esclusivo territorio dell’azione maschile”. (Oates)
A volte qualcuno pensa di farle un complimento dicendo: “Scrivi come un uomo”. Quale uomo? Oates scrive in modo non esplicitamente violento, ma tratta del fenomeno della violenza e delle sue conseguenze “come scriverebbero i tragici greci”. Allora l’intervistatore le chiede se la sua infanzia è stata tragica, se lei è stata spaventata dalla vita.
Stanca di giustificarsi e rispondere alle accuse di “scrittura violenta”, Oates alla fine replica: “Faresti la stessa domanda a uno scrittore uomo?” L’interlocutore, dopo un attimo di esitazione, risponde “No”. “Perché no?” ribatte Oates. Segue una lunga pausa.
“Il mio inquisitore sapeva la risposta alla mia domanda, ma si è rifiutato di rispondere”.

Immagine di Bokmassan, Gothenburg
Femminismo Misoginia Psicoanalisi
Molto interessante e molto vero!!!
Quanta ragione!
Brava Patrizia e grazie che mi hai permesso di conoscere questa scrittrice!