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Argentana, Odio di classe e magnifiche ossessioni

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Odio di classe

In Argentina ho imparato una cosa che finora mi è stata estranea. L’odio di classe. E la classe è quella burguesa – piccola o grande che sia – ignorante e che non sa nemmeno di esserlo. Con la sua magnifica ossessione: il dollaro.
In tutti i paesi del mondo, e non solo quelli a valuta forte e stabile, la gente utilizza la moneta locale. Per chi ha buona memoria, avveniva anche in Italia prima dell’avvento dell’euro e non è che la lira non si svalutasse. Ma in Argentina vogliono i dollari, in memoria dei bei tempi andati della parità con il peso.
Si sa che a forza di cambiare la propria moneta con un’altra divisa per esportarla fuori dal paese, il paese suddetto finisce in bancarotta (una delle cause, non l’unica certo, del default del 2002). Ma niente, non demordono. E ora che il governo ha introdotto restrizioni molto forti all’acquisto di moneta estera, è il panico. Dichiaro subito che non voglio dare un giudizio su questo provvedimento, né sul governo in generale. E’ la reazione della classe media che mi interessa. E ho visto cose che voi umani…
Ho visto scendere in piazza 50-60enni per reclamare il rispetto dei principi costituzionali.
Dov’erano tra il 1976 e il 1983? Tra loro, familiari di militari condannati per crimini di lesa umanità. Ah, ecco dov’erano.
Ho assistito al miracolo dei cacerolazos: signore ingioiellate che per la prima volta nella loro vita prendono in mano una padella e un mestolo.
Ho sentito paragonare l’Argentina attuale a 1984 di Orwell. “L’hai letto, 1984?”. “No, ma mio cognato sì”.
Ho ascoltato la magica frase “Diventeremo come il Venezuela e Cuba”, che fa pendant con l’analoga espressione “Diventeremo come la Russia” degli anni in cui la dittatura del proletariato si era imposta in Emilia Romagna.
Nessuno si chiede se le restrizioni attuali siano una misura preventiva per aumentare le riserve dello Stato in vista di un allargamento della crisi mondiale o un disperato tentativo di grattare il fondo del barile. No, l’importante è avere dollari da mettere sotto il materasso. E il resto al carajo.
A tutto questo si accodano le proteste per la sicurezza, come mi spiegava una signora alla fermata dell’autobus, alle 2 di notte, in periferia. E per “questi boliviani-peruviani-paraguayani a cui danno casa, cure mediche, scuole per i figli, per forza non se ne vanno più”, ma guai a toccare i sussidi per luce e gas di cui godono tutti a prescindere dal reddito.
Sono queste le ragioni del mio odio di classe. Lo dichiaro e me ne assumo la responsabilità. La prossima volta parlo del tango. Giuro.

 

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FRANCESCA CAPELLI

Sono nata a Bologna, mi sono diplomata al liceo linguistico e ho una laurea in Scienze politiche. Leggere e scrivere sono da sempre la mia passione. Ho iniziato a fare sul serio quando sono entrata all’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano. Dopodiché ho lavorato in varie redazioni a Milano: Reuter’s (agenzia di stampa), Grazia, L’Unità, Newton. E dal 2000 ho scelto di diventare giornalista indipendente. Il mio primo libro, “La macchina uomo” (Dami), è stato pubblicato nel 1998. Sono golosa di cioccolato, soprattutto al peperoncino. Sono mancina e me ne vanto. Anzi, è la cosa di me che preferisco. Vivo a BuenosAires dal 2012.

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