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LE BUFALE IN RETE PASCOLANO FRA GLI HATER

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Foto Viganò Elaborazione Nuvoletti

È così: una carogna del web al mattino si alza e si domanda: «Che posso pubblicare di schifido oggi? Una catena di sant’Antonio, una calunnia lurida su un innocente, una notizia falsa che riempia di astio i miei polli? Che spinga le mamme a non vaccinare i bambini, che convinca le donne che la mammografia adesso costa un sacco di soldi? Chi accuso, chi avveleno, chi distorco di bello oggi?» E ghigna e si lima gli artigli fischiettando. No, egli non compie il male per il male: ha sempre chiaro in mente un obiettivo, pecuniario, di potere o politico. Materialissimo. Suo. Sa che siamo scemi. Avidi di astratte certezze. Che adoriamo ingollare bufale, corna e coda comprese, perché possiamo ragionare solo col colon, con le budella e la bile. Sa, o crede di sapere, che odiamo logica, razionalità e buonsenso, e ci ammappalliamo con goduria in controsensi, aporie, affermazioni che si contraddicono da sé, e soprattutto in semplici, splendide, idiote bugie grosse come pachidermi fucsia a pallini fosforescenti, purché siano cariche di emozioni incontenibili e sbavanti ─ tra la fasulla bontà smielosata e l’odio aperto. Sììììì, tuffiamoci nella pupù! Ci viene fornita a secchiate, a vagoni, a vulcani. Da facce di bronzo convinte che siamo una massa di deficienti, persino più cattivi che stupidi. Convinte che, anche nei casi migliori, col cavolo che controlliamo le fonti delle turgide megapalle che poi ricondividiamo sui social network, noi vogliamo crederci, leggiamo poco e confrontiamo niente. Clìc, e la stronzata è subito inviata su Twitter o su Facebook.

Questa sul controllare fonti la scrivo a malavoglia, perché un paio di volte è accaduto anche a me di condividere, come fossero novità stringenti e verità assolute, notizie di anni fa, indignazioni su immagini costruite al computer, grandi scoperte inventate. Beh, ma anch’io sono umana. Quindi, scema. Polla. Con tracce di malignità al fondo.

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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