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L’Ultimo Natale, un romanzo di Elena Gianini Belotti

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Rumori. Calore. Solitudine. La penna implacabile e gentile di Elena Gianini Belotti ci trasporta in un Natale dove quattro generazioni, per qualche giorno, si ritrovano, si sovrappongono, cercano se possibile di non ferirsi. In una vecchia grande casa dove tutti i presenti hanno radici e ricordi. Il padre della narratrice, l’occhiazzurrino bisnonno novantasettenne di Daniele e Matteo, è negli ultimi mesi di vita, tutti gli adulti lo sanno. I bambini lo sfiorano, e gli mandano impercettibili segnali di speranza.
Una scrittura pudica e perfetta maschera con eleganza abissi di dolore. La parola è protagonista, si parla di congiuntivo, se ne precisano le forme. Si riflette sull’importanza dell’editing. Si discorre di Saddam – è il 1990. Si ascolta il chiacchierio del bimbo di due anni e mezzo.
“Chi è il tuo papà? mi chiede Daniele. E’ nonno Gildo. E il mio papà chi è? E’ Alberto. E il papà di Alberto? E’ tuo nonno Ludovico. E il papà di nonno Ludovico? E’ nonno Gildo”.
La voce narrante è una donna che ha scelto di vivere sola. Osserva le vite del fratello, della sorella. I loro figli, e i figli dei figli. Osserva nonno Ludovico, che, diversamente dal suo papà Gildo, è in grado di abbracciare i nipotini, di giocarci, di goderseli.
Si ascolta la voce della Callas. Si cuoce l’agnello sul barbecue, all’aperto, nel gelo. Si discetta di frigoriferi, lavatrici, astronavi. Il più, il meno, il nulla.
Il 25 dicembre a mezzogiorno, arriva Babbo Natale. Intanto, si cuoce la polenta, si mescola l’umido di manzo e salsiccia. Il 26 mattina si parte. La narratrice saluta. “Papà, torno presto a trovarti. No, dice, non ci vedremo più, questa è l’ultima volta”.

 


L’Ultimo Natale, di Elena Gianini Belotti.
Editore nottetempo. 67 pagine, 6 euro.

 

 

 

 

 

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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