Pedinavamo Nolan Campbell da quasi tre settimane. Sei agenti su tre turni, ventiquattro ore su ventiquattro. Tutti ragazzi svegli, tutta gente che riuscirebbe a non farsi vedere dal sospetto dovesse stargli a meno di dieci iarde, perfino nel deserto. La moglie di Campbell era sparita mentre tornava dal lavoro, dissolta come un ghiacciolo sotto il sole di questo luglio rovente. Non un biglietto, non un saluto agli amici. Brutta faccenda. Odore di cadavere da lontano un miglio.
Avevamo fatto passare tutto al setaccio, nella casa della coppia: neppure la più piccola traccia, niente di anomalo che potesse dare uno spunto su cui concentrare le indagini. Il marito s’era sbattuto per un po’, fingendo di cercarla, poi sembrava essersi rassegnato ed era tornato alla sua vita banale, da contabile di terz’ordine qual era.
Allora, alla Centrale s’era deciso di tornare ai buoni vecchi metodi di una volta. Tre macchine senza contrassegni e un po’ di gente della vecchia guardia, quelli che come me hanno imparato a conoscere le strade della città annusando l’odore della feccia che ci razzola dentro.
– Intanto, – aveva detto il Sergente Collins – uno come Campbell prima o poi l’errore lo fa di sicuro. Basta saper aspettare, non avere fretta.
– Sembra un tipo abbastanza sveglio – aveva considerato Sean Anderson, che della squadra era certamente il meno esperto.
– Quello? – aveva ribattuto il Sergente. – Uno che tifa per i Detroit Lions lo definiresti “sveglio”?
I Detroit Lions sono stati fondati nel 1930 e sono una delle sole quattro squadre a non essersi mai qualificate per il Super Bowl.
Avevamo riso tutti di gusto, nessuno escluso tra quelli presenti alla riunione, e poi c’eravamo messi a concordare i turni di pedinamento.
Per due settimane non era successo niente. Campbell conduceva la vita più monotona che si possa concepire. Otto ore di lavoro nella ditta di accessori auto e il resto della giornata quasi solo a mandar giù porcherie ipercaloriche davanti al televisore.
Martedì scorso, improvvisamente, la svolta.
È uscito dall’ufficio poco dopo le cinque, ma invece di dirigersi verso nord, ha imboccato Lakeshore Rd ed è sceso fino ad Wadhams a velocità moderata, come se cercasse di capire se aveva qualcuno a mordergli le chiappe. A St Clair s’èbuttato sulla Gratiot Ave e da lì ha proseguito verso Ovest, senza mai superare le quaranta miglia orarie.
– Ci siamo – ho detto a Larry Taylor che era di turno con me e guidava con cautela. – Hai capito, l’amico? Fa il bravo ragazzo, solo per non lasciare traccia su un controllo elettronico.
Gratiot Ave è un unico infinito rettilineo. Non fosse per i dossi artificiali, ci si addormenterebbe al volante come pupi dopo la poppata.
Ci siamo fatti quarantasei miglia in una noia assoluta. Il traffico era sostenuto e non era difficile stargli dietro, anche dappresso, senza farsi scorgere.
– Dove cazzo ci porta questo idiota? – Si è lamentato Larry, poco prima di entrare in Detroit.
Avevamo il sole della sera in faccia e il sedere quadrato, a furia di star seduti su quella Pontiac del 2005.
– Non avere fretta – gli ho raccomandato. – Quello ha finalmente deciso di farci il regalo e bisogna solo aspettare che si senta sicuro. Ora, vedrai che inizierà a girare attorno, apparentemente senza una meta, come un insetto quando non sa come scegliere il fiore giusto.
Invece, si è fermato dopo cinque minuti. All’altezza dell’Hilton Garden Inn ha svoltato a destra in Brush Street e dopo cento iarde, tra il Comerica Park e il Ford Field, ha lasciato la sua Buick caffellatte accostata al marciapiede. È sceso senza guardarsi troppo intorno e si è avviato deciso lungo la via.
I due stadi hanno, sul retro, le loro più antiche strutture logistiche; magazzini e impianti tecnici superati, oltre a locali apertamente in disuso, che una volta ospitavano gli spogliatoi, quando la NFL muoveva i primi passi e le squadre erano organizzate come compagini amatoriali.
Gli siamo rimasti abbastanza distanti da poter appena cogliere il momento in cui entrava nel Ford Field attraverso una porticina di servizio. Abbiamo atteso tre minuti e poi siamo scivolati dentro anche noi.
C’era quasi buio, là sotto, ma dal fondo di un corridoio polveroso si sentiva provenire, distintamente, un lamentio straziante.
Larry ha tirato fuori la sua Walther PDP , ma io ho fatto cenno che probabilmente non gli sarebbe servita.
Ci siamo avvicinati adagio, così da ridurre al minimo lo scricchiolio che le nostre scarpe facevano su quei pavimenti lastricati di cianfrusaglie e di sporco.
Nolan Campbell era inginocchiato al centro di una stanza, l’unica che avesse mantenuto una lampadina in grado di funzionare. In quello che doveva essere stato l’antico spogliatoio della squadra di casa, l’uomo era inginocchiato al centro del pallido cono di luce che cadeva dal soffitto. Singhiozzava convulsamente, tanto che le spalle erano scosse da un sussulto irrefrenabile.
– Non dovevi farmi questo… – ha cominciato a dire, piagnucolando. – No, questo non me lo meritavo proprio. Così, non mi hai lasciato scelta: ho dovuto farlo…
Ci siamo avvicinati ancora, fino a quando sono rimaste meno di dieci iarde a separarci dalla sua schiena tremante.
– Ho dovuto farlo, hai capito? – ha ripreso a dire il tizio inginocchiato. – Non me la sono sentita di andare avanti, questa volta. No, questa volta non ce l’ho proprio fatta…
Ho preso Larry per un braccio e gli ho sussurrato:
– Preparati a chiamare la scientifica. Ah, ci vorrà anche una squadra di spalatori e un sacco per i cadaveri.
Mi ha risposto con un cenno d’intesa e scuotendo il capo. Siamo andati ancora avanti, lentamente.
Campbell si è accorto della nostra presenza quando gli eravamo abbastanza vicino da poterlo quasi toccare con una mano. Si è girato lentamente. Aveva sul volto un’espressione stupita ma nemmeno troppo preoccupata. Ci ha rivolto uno sguardo interrogativo, si è un po’ calmato e ha smesso di tormentare tra le mani un quadratino plastificato delle dimensioni di un pacchetto di sigarette.
– Quel documento può anche darmelo, ora – gli ho detto, cercando di non essere troppo rude, nel timbro della voce.
Non ha fatto il minimo accenno a fuggire. Mi ha allungato la tessera con un gesto automatico, sostanzialmente involontario.
– Ora è tutto finito – gli ho detto.
– Sì, lo so, lo so…– ha risposto. – Non credevo che sarebbe andata in questo modo.
Ho distolto un istante lo sguardo dalla sua faccia disfatta e ho osservato il documento, cercando oltre la plastica rigata la piccola fotografia della moglie, che doveva essere una cinquantenne bionda e in carne.
Non era un documento della donna.
Era la tessera dei Detroit Lions, intestata al tizio che avevo davanti in lacrime. Data del rilascio: 12 giugno 1986.
– Ha capito a che razza di squadra ho dato fiducia? – ha detto Campbell, ricominciando a frignare penosamente. – Trentotto anni di tesseramento, trentotto anni di fedeltà assoluta e nemmeno una sporca finale al Super Bowl! E quest’anno cosa mi combina, quella maledetta? Diciotto per cento di aumento sull’abbonamento per la prossima stagione. Diciotto per cento, vi rendete conto? Ma si può vivere così?
Ho pensato alla Signora Campbell e le ho inviato un silenzioso bacio. Dovunque fosse in quel momento, con chiunque fosse, aveva fatto bene ad andarsene.
Ricevo e pubblico un commento:
“Mi dispiace, ma il mio giudizio è negativo.
A parte la punteggiatura che, specialmente all’inizio risulta, a mio avviso, addirittura fastidiosa, è tutto il racconto che non mi piace.
Sembra la sceneggiatura di un b-movie americano, con relativi dialoghi banali, infarciti di luoghi comuni e basati su un presunto slang, con relative parolacce annesse (come se bastassero queste a rendere più “vero” il linguaggio) e con tentativi di descrivere la “american way of Life”. Il ripetuto menzionare le iarde, ad esempio, è davvero frustrante…
Il finale, poi, più che a sorpresa, è disarmante nella sua banalità.”
Quello che trovo straziante è appunto che chi scrive non si renda conto di aver letto la parodia di un poliziottesco americano. Mah!
P.S. Notare la punteggiatura della frase dove si contesta, appunto, la punteggiatura. La comicità involontaria è sempre la migliore.
sei molto corretto, ma non condivido la critica. Il tuo racconto è brillante e ben scritto. E sono d’accordo con te: “Quello che trovo straziante è appunto che chi scrive non si renda conto di aver letto la parodia di un poliziottesco americano. Mah!
P.S. Notare la punteggiatura della frase dove si contesta, appunto, la punteggiatura. La comicità involontaria è sempre la migliore”.
Meglio tenersi ad almeno dieci yarde da certa gente !
La verità? Sono invidioso.