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Cinema

Quando c’era Berlinguer

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No, niente paura, non è melenso e sentimentale. È un film professionale, girato e montato con tecnica sopraffina. Adatto, sì, al prevedibile pubblico del “Berlinguertivogliobeneritorna”, ma anche a persone che Enrico Berlinguer non lo hanno mai idolatrato, lo hanno criticato e magari pure detestato. È adatto ai giovani che nemmeno ne conoscono il nome, e anche ai vecchi comunisti: che imparino bene in quante cazzate hanno creduto nella loro vita.
Vedendo Quando c’era Berlinguer non si vive un momento di noia. Magari nostalgia e dolore, magari rabbia, magari rancore, ma noia mai. C’è da imparare con passione ciò che siamo stati, ciò che ci siamo raccontati di essere e, anche, perché ora siamo ridotti così come siamo. Ogni spettatore lo leggerà a modo suo.
Il film non è agiografico, e non lo era nelle intenzioni del regista, che, piuttosto, qui e là, scegliendosi gli interlocutori ad hoc, li ha usati per raccontare la SUA storia, ma non è un difetto: ogni autore ha la sua. Fin qui sono stata oggettiva. Ma ora il film passo a descriverlo dal mio punto di vista.
È la storia di una enorme sconfitta: di un grande partito, che tutto prometteva, dava sogni e anche valori concreti, ma mentiva, mentiva sempre, e quasi sempre senza saperlo, convinto di dire La Verità. È la storia della sconfitta di un uomo coraggioso, che ha avuto grandi intuizioni e ha compiuto clamorosi errori, morto guardando la sua morte in faccia fino all’ultima parola. È anche la storia della mia sconfitta, di ragazza liberale e di sinistra, presa dal vento del 1968, che nel PCI ha cercato il partito che sarebbe, senz’altro, diventato socialdemocratico e liberale, che avrebbe fatto dell’Italia un paese equo e moderno. Il giorno del referendum sul divorzio, mentre tornavo a casa trionfante dal seggio dove avevo compiuto il mio dovere di scrutatrice, ero certa di aver trovato il posto giusto. E invece no.

Alla fine della proiezione ero stracolma di rabbia. Verso Veltroni e le sue reticenze, verso di me e le mie illusioni. Ero nella sala dell’anteprima, lo confesso, circondata da vip e vippesse, e da dinosauri senza vergogna, e sono stata presa da una gran voglia di urlare loro parole scortesi. Poi nella platea ho riconosciuto anche brave persone semplici, ormai da molti anni prive di potere e di smalto. Erano stati invitati per pura cortesia.

È tutto finito, spero. E credo sia bene così.

Immagine Giovanna Nuvoletti

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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