Quando io ero piccolo l’inverno era freddo, pioveva il giusto, e al mattino la brina imbiancava i fossi. Avevo le suole di caucciù e i pantaloni corti, i calzini che scivolavano sulle caviglie. L’estate non era umida e si sudava solo perché correvamo tutto il pomeriggio.
Quando io ero piccolo il mare era continuamente agitato e le bandierine rosse, tenute in alto da pali che sorgevano direttamente dalla tempesta, sventolavano funeste.
La notte era illuminata da lampioni che ondeggiavano a un filo, come panni stesi. La luce ti illuminava e tu mi tenevi per mano, come una cosa. Avevi i tuoi pensieri, i tuoi capelli biondi ossigenati, il tuo bel viso. Eri la madre lontana, anche se eravamo sempre insieme.
Mai occhi negli occhi, non lo ricordo. Occhi scuri e lontani, si capiva che non saresti rimasta, e che già eri remota. Non dimenticherò il sogno estivo, il nostro balcone e il danno del calabrone. Ti chiamavo, mostravo il braccio o la gamba, dove era stata inflitta la puntura mortale, ma tu entravi e uscivi affaccendata e ti supplicavo: «Mamma, sto morendo».
Quando io ero piccolo le madri lavavano la casa tutto il santo giorno. Sulle terrazze dei palazzi c’erano le misteriose fontane. Lunghi fili spessi arpionavano sbarre di ferro infisse nell’impiantito assolato, là ci si accaniva contro i tappeti con robusti battipanni sollevando nugoli di polvere.
Una volta ho sentito il tuo cuore. Batteva sotto un grembiule da casa a quadretti rossi e bianchi. Eri stesa sul divano che avevamo comprato da poco, firmando un mucchietto di cambiali. Guardavi la televisione a due canali e io sentivo te.
Quando io ero piccolo di domenica c’era il brodo, la radio trasmetteva Il Gambero. D’estate si giocava in cortile, e nell’aria del mezzogiorno si diffondeva l’odore del sugo. Tu mi chiamavi.
Nell’anno più freddo della mia vita camminavo a fianco di casermoni inondati di sole che si affacciavano su cortili dimessi e selvaggi. Altri bambini rispondevano ai richiami, nell’estate che ricorderanno asciutta e felice.