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Quirinale in controluce, De Nicola e Napolitano

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L'ingresso del Quirinale

 

 

Ha poco senso lanciarsi in pronostici e previsioni su chi potrà essere il prossimo Presidente della Repubblica. Più stimolante, e forse più utile anche per orientarsi sul possibile esito, è ricordare i precedenti: fatti, statistiche, curiosità. Anche gli antichi aruspici facevano tesoro delle esperienze pregresse.

De Nicola e Napolitano sono il primo e l’ultimo Capo dello Stato dell’età repubblicana. Non ho scritto “Presidente della Repubblica” perché Enrico De Nicola, eletto dalla Assemblea Costituente il 28 giugno 1946, dal primo luglio (entrò in carica tre giorni dopo) al 31 dicembre 1947 ebbe la denominazione di “Capo provvisorio dello Stato”. Solo dall’1 gennaio 1948, promulgata la Costituzione, poté chiamarsi “Presidente della Repubblica”; tale restò fino al 12 maggio dello stesso anno, quando si insediò il successore, Luigi Einaudi. Grazie agli ultimi 133 giorni del suo mandato De Nicola è dunque, anche formalmente, il primo Presidente della Repubblica Italiana.

De Nicola e Napolitano sono agli estremi opposti della graduatoria: in quanto primo e ultimo Presidente, e anche per la durata del mandato. Quello di Napolitano è, notoriamente, il più lungo; visto che nessuno, prima di lui, compiuto il settennato è stato rieletto. La permanenza in carica di Enrico De Nicola è stata, complessivamente, di 682 giorni; la più breve, inferiore anche ai 945 giorni di Antonio Segni che lasciò per ragioni di salute.

Qui, però, si fermano le differenze e cominciano le analogie. De Nicola e Napolitano sono ambedue di Napoli. Ambedue avvocati; anche se il primo è stato un vero principe del foro mentre il secondo, come lui stesso racconta, conquistò la laurea in giurisprudenza solo per un impegno d’onore con il padre, anch’egli avvocato famoso e desideroso che il figlio lo seguisse nella professione. C’è, però, un elemento che li accomuna più di chiunque altro; attinente, per di più all’altissimo ufficio che, a distanza di sessant’anni, hanno entrambi ricoperto.

Fra tutti i Presidenti della Repubblica, solo loro sono stati eletti due volte. Di Napolitano tutti ricordano la circostanza: nell’aprile 2013 partiti incapaci di eleggere un nuovo Presidente, rivolsero a lui la richiesta di rendersi disponibile per un secondo mandato; il Parlamento, a larghissima maggioranza, lo rielesse. Meno nota – anche perché più lontana nel tempo – la vicenda della doppia elezione di De Nicola.

I biografi lo descrivono preoccupato soprattutto di non apparire eccessivamente interventista. Cosicché, quando qualcosa lo contrariava, ricorreva sdegnosamente alla minaccia di dimissioni. Messi, così, sull’avviso, i leader politici del tempo si davano da fare per eliminare o, quanto meno, smussare i motivi delle controversie; e la minaccia rientrava. Una volta, però, alla minaccia seguì l’atto. Il 26 giugno del 1947 De Nicola in una lettera a Umberto Terracini, Presidente della Assemblea Costituente; comunicava le proprie dimissioni da “Capo provvisorio dello Stato”.

Lascio qui la parola a Vittorio Gorresio, acuto e ironico narratore delle vicende politiche della primissima Repubblica. “L’Assemblea non poteva né accettarle né respingerle, perché era un caso non previsto dalla legge: tutt’al più essa poteva rinominare De Nicola e De Gasperi glielo aveva fatto sapere il giorno prima: ‘Sul tuo nome non c’è solo un orientamento, ma un coro di consensi’. Forse questa premura di De Gasperi fu il buon accorgimento che indusse De Nicola a giocare senza rischio la carta delle dimissioni. La Costituente, infatti, lo rielesse il 27 giugno quasi all’unanimità: 405 voti su 433 votanti”. Esattamente un anno prima i voti erano stati 396 su 501.

“Allora De Nicola si rassegnò” conclude Gorresio (“Il sesto presidente” Rizzoli 1972, pag. 78). Così l’undicesimo presidente, suo concittadino, non può elencare fra i suoi molti record quello di essere il solo eletto due volte alla più alta carica della Repubblica; deve condividerlo con lui. Particolare che non sarà certo sgradito a Giorgio Napolitano

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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