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È RaiWay, non La Secchia Rapita

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Una torre di Rai Way

Dal 1996 al 2005 ho guidato l’VIII commissione del Senato, competente in materia di telecomunicazioni, poi la Commissione di Vigilanza; in seguito, fino al 2009, sono stato dentro la Rai. Qualche idea me la sono fatta e, comunque, capisco di cosa si parla.

Da ieri, quando ho saputo della offerta pubblica di acquisto e scambio avanzata da EI Towers – controllata al 40% da Mediaset – per acquisire il controllo di RaiWay, mi chiedo cosa significhi. L’offerta, così, è incomprensibile. Neppure  chi la avanza può credere seriamente che la Rai consegni al maggior concorrente privato la proprietà della  rete di diffusione di cui ha oggi il controllo e che per sette anni gli versi all’incirca 200 milioni l’anno per poterla utilizzare. Per chi non lo sa, è questa la garanzia che la Rai ha dovuto dare agli investitori al momento della quotazione in borsa di RaiWay.

L’opa non può essere, però, solo una mossa propagandistica. Quando si mettono sul tavolo 1,2 miliardi di € entrano in campo banche d’affari (qualcuno parla addirittura di Mediobanca) si deve preparare una consistente documentazione per l’Antitrust e per l’Agcom, ci si espone a giudizi che possono costare cari, si raccolgono opinioni preliminari senza le quali si brancola nel buio. L’operazione, dunque, non è cominciata ieri e non finisce domani; e non è uno scherzo.

Qual è, allora, il punto di vista da cui va osservata la vicenda per capirne qualcosa? Le sciocchezze sul “patto del Nazareno” dimostrano solo la cretineria di buona parte dei giornalisti italiani, con il supporto rumoroso – in verità – di vari politici d’avanspettacolo.

Dico la mia con il rischio, ovviamente, di sbagliare. Il nocciolo della questione è la sistemazione della rete unificata per le telecomunicazioni. Se ne parla da decenni ma non si è ancora concluso niente. Eppure è, forse, la più importante fra le grandi scelte strategiche da cui dipende lo sviluppo futuro e la crescita del nostro Paese. Siamo nell’era digitale, con la unificazione di tutti i linguaggi, dalla tv a internet, alla telefonia mobile: quindi banda larga, intermodalità, interattività.

Si avvicina il momento delle scelte. Il Governo negli ultimi tempi parla molto di Rai, e i soliti provincialotti da retrobottega si baloccano con le nomine, con il controllo politico e altre baggianate del genere. Io non escludo, invece, che da Palazzo Chigi si guardi soprattutto alla grande infrastruttura della rete. In questa ottica non mi sembra privo di significato che sia stato proprio il governo a spingere la Rai per la “valorizzazione”, quindi per la quotazione in Borsa, di RaiWay. Potrebbe essere stata quella la prima mossa di una partita che avrà uno sviluppo complesso e molti giocatori in campo; basta guardare dalle parti di Telecom, di Vodafone, della Cassa depositi e prestiti, e di altri ancora.

L’opa su RaiWay non è, come si direbbe a leggere molti commenti, un capitolo de “La secchia rapita”. Potrebbe essere, invece, la seconda mano della partita, con la quale Mediaset si dichiara d’accordo sulla creazione di una rete unica degli impianti di telecomunicazione separata dai fornitori di contenuti e servizi, secondo il modello prevalente in Europa; ma dice anche che vuole avere spazio nella società proprietaria della rete stessa.

Accordi preliminari? E’ probabile che Mediaset abbia fatto trapelare l’intento di lanciare un’opa al 66% e il governo abbia ribadito che il 51% resta in mano pubblica. Così, tutto resta per ora bloccato; la partita può continuare senza rischi per nessuno in attesa che entrino in campo altri protagonisti, assai robusti. Vedremo: mi interessa molto e ve ne terrò informati.

 

CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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