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Scritture

Rosetta

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La Stele di Rosetta al British Museum di Londra

Rosetta era una bella ragazza. Giovane, dai tratti tipicamente mediorientali, dolce ma fiera e risoluta.
Poche ragazze, nel nord dell’Egitto, avevano la sua istruzione e la sua intraprendenza. Ormai in età da marito, Rosetta disprezzava tutti i corteggiatori che, a frotte, avrebbero voluto metter su famiglia con lei, ma non era proprio aria. Rosetta aveva faticato tanto, si era consumata gli occhi studiando anche la notte, imparando il demotico e il greco, perché aveva un sogno: sarebbe stata la prima donna a dirigere la grande Biblioteca di Alessandria. E, per Tolomeo, ce l’avrebbe fatta.
A ventidue anni era l’unica donna, nell’Egitto del nord, a saper tradurre in un batter d’occhio gli antichi testi, le meravigliose iscrizioni geroglifiche che erano l’eredità dei grandi faraoni. I papiri antichi, i documenti ancora avvolti nel mistero del tempo di Akhnaton l’eretico, perfino di Tutankhamon e della divina Nefertiti.
L’Egitto è pieno di malelingue, e si cominciò a dire in giro che Rosetta avesse un segreto. Che avesse inventato un sistema per riuscire ad eseguire le sue mirabolanti traduzioni in un decimo del tempo che occorreva ai più esperti scribi. Qualcuno parlava di una magica stele, ma in modo vago e confuso, anche perché nessuno sapeva davvero bene cosa fosse una stele.
Si sa, le donne coraggiose e belle hanno sempre tanti nemici e la fama di Rosetta era giunta fino a corte. Alla regina Cleopatra, maestra di intrighi e dissolutezze, bastò un battito di mani perché Rosetta si trovasse brutalmente condotta nelle segrete del grande palazzo di Alessandria, e torturata con raffinata crudeltà.
Ma non parlò .
Così Cleopatra si convinse che la storia della stele di Rosetta era la solita bufala messa in giro dai Romani che volevano destabilizzare il regno d’Egitto, rimise in libertà la povera ragazza e tornò alle sue orge sfrenate con Marco Antonio.
Passarono quasi duemila anni, scherzando e ridendo, fino a quando i soldati di Napoleone non inciamparono per caso in una stele mezza sepolta nelle paludi del Nilo. Bestemmiando, la raccolsero e così capirono che, in primo luogo, una stele è un bel pezzo di granito durissimo, sul quale non conviene sbattere contro. In secondo luogo, che doveva per forza essere la famosa stele di Rosetta.
A un secondo esame, mani e occhi più esperti capirono che lì sopra c’erano strane scritte, in tre lingue diverse, e che perciò la stele era la chiave per capire finalmente che quei disegnini belli e astrusi di cui l’Egitto era letteralmente ricoperto non erano solo adattissimi a confezionare stupende carte da parati, ma avevano anche un significato.
E Rosetta? Vorrei potervi raccontare che riuscì a coronare il suo sogno, divenendo direttrice della Biblioteca di Alessandria. La verità è però che incontrò a un toga-party Publius, un bravo soldatino romano, fianchi stretti spalle larghe, che la portò con sé nelle sue scorribande guerresche per il Mediterraneo. Sembra siano morti tutt’e due ad Azio, durante una celebre battaglia. Ma siccome nessuno ha mai saputo bene questa Azio dove fosse, la memoria di Rosetta e Publius si è perduta nei secoli.

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