Caricamento

Digita la ricerca

Storia

Roulette alla Scala

3.975 visite

Domenico Barbaja al Museo della Scala - Immagini dell'Autore

Siamo stati a visitare il Museo del Teatro della Scala.
Se vi fossimo entrati fra il 1778 e il 1786, avremmo trovato milanesi alle prese con il gioco d’azzardo. Anche quando si svolgevano gli spettacoli, che vedevano impegnati famosi soprani e contralti castrati, si giocava, nei palchi e nei retropalchi, tra il fumo aspro dei sigari e qualche imprecazione favorita dall’alcool.
I palchi avevano proprietari e affittuari che facevano quello che volevano: si potevano scegliere anche gli arredi e gli ornamenti, e ciascuno doveva provvedere, in proprio, al riscaldamento e all’illuminazione a olio. C’erano botteghe e un affollato ristorante. Sul palco e in platea si svolgevano riunioni mondane, danze e spettacoli leggeri. Si potevano tenere chiassose feste con compagnie di malaffare. Era, insomma, un centro cittadino aperto, diciamo pure, molto aperto, anche se quasi esclusivamente destinato all’aristocrazia e all’alta borghesia della città.
Nel grande caffè, all’interno del teatro, proprio dove c’è il foyer, al comando c’era  Domenico Barbaja, che, per origine e per passione, aveva già una buona notorietà. Da un po’ stava lavorando per realizzare una bevanda che fosse oltre che gradevole, anche corroborante, viste le lunghe e stressanti serate che i milanesi si concedevano in questo teatro.
Così alla fine ne uscì una specie di caffè shakerato (diremmo oggi) con l’aggiunta di cioccolato fondente e impreziosito da panna montata e zucchero. Si beveva, a seconda delle stagioni e al gusto, sia calda che fredda. Fu subito apprezzata e, ormai, si andava alla Scala, anche solo per provare il piacere di gustare una barbajada, come verrà battezzata la bevanda che di lì a poco divenne un vero must. In quasi tutti i caffè venne imitata e in città, dicono, la si è servita sino agli anni Trenta del novecento.
Fatto sta che, le file dei degustatori della barbajada originale, portarono tanti di quei soldi al creativo garzone di caffè da permettergli, addirittura, di vincere il bando di gara per gestire il gioco d’azzardo all’interno del teatro. Domenico Barbaja diventò molto celebre e ancora più ricco; se la cavò benissimo come impresario teatrale, soprattutto a Napoli ma anche in giro per l’Europa. Soprattutto, però era davvero un campione  in fatto di bevande, pasticceria e, soprattutto, di azzardo . Fece arrivare nuovi giochi ed esperti che ne divulgassero le tecniche, divenne attentissimo a seguire gusti e tendenze per non privare i milanesi di tutte le novità che in Europa andavano nascendo.
Ecco che i conti tornano per i visitatori del 2017. Il suo ritratto, un olio molto più grande rispetto agli altri, troneggia letteralmente in una delle sale del Museo. Non in una qualsiasi ma in quella che lo mette in vista tra Manzoni, Verdi e belle cantanti d’opera. Una gran bella soddisfazione per il figlio di poverissimi braccianti nato a Ponte Sesto, una frazione di Rozzano, oggi hinterland milanese, che aveva inventato e sapeva fare come nessuno la  barbajada!

Tappeto per gioco d'azzardo

Tappeto per gioco d’azzardo

 

Tags:
ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

  • 1

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *