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Racconti

Sandro

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A Sandro non compravano giochi. Non c’erano soldi, dicevano i genitori. Il padre era sempre cupo, la mamma affannata. Quando tornava da scuola Sandro si chiudeva nella sua stanza a disegnare, ma doveva badare a non consumare troppo i colori, perché poi farseli ricomprare era un calvario.

Così c’erano periodi in cui nei suoi cieli mancava l’arancio del sole, altri in cui le nuvole erano grigie, in altri ancora poi, il cielo non c’era affatto. I prati di Sandro non erano sempre verdi e raramente avevano fiori. A Sandro piacevano gli animali, ma tutti i suoi gatti, pappagalli, cavalli, maiali, agnelli, erano troppo spesso marroni.

In un’ottica di risparmio, i suoi genitori pensavano che anche le energie non andassero sprecate: niente bicicletta, niente pallone. Quindi niente amici. Così Sandro a dodici anni leggeva. Conosceva Salgari, Jerome K.Jerome, la vita degli animali descritta in una vecchia enciclopedia, i gialli di Wallace, un romanzo di Pratolini, le poesie di Prevert, Cronin, i racconti di Hitchcock, Moravia…tutto era custodito in un’avara libreria ereditata da una zia, quattro scaffali in tutto.

Alla fine del quarto scaffale la cultura si arrestava bruscamente per far posto alla macchina da cucire della mamma. La vista di Sandro era oggetto di discussione durante il pranzo:”Bisogna portare il bambino dall’oculista: fa fatica…” diceva la mamma. E il padre:”Se non passasse tanto tempo a disegnare e leggere non si sarebbe ridotto come una vecchia talpa. Perché non ti fai una bella passeggiata, invece?!”

Sandro gli rispondeva raramente. Sapeva che le belle passeggiate giravano alla larga da bar, pasticcerie, chioschi e olivari. Suo padre da ragazzo era stato malaticcio e non aveva potuto far altro che “belle passeggiate”. Tutt’ora il suo cuore era bizzoso e infido. La nonna aveva pianto quando il suo unico figlio si era sposato, temendo che non sarebbe sopravvissuto alle croci e alle delizie del matrimonio. In realtà era sopravvissuto benissimo.

Era Sandro a non sentirsi bene. La fantasia compressa era come un malanno: più leggeva più aveva voglia di disegnare, più disegnava e più si sentiva infelice. “Mamma, ho bisogno di colori!” ”Lo diremo al papà…”, poi però non ne trovava il coraggio. Anche perché il papà tornava a casa gonfio di rancori e ingiustizie subite.

A Sandro, comunque, il papà non l’aveva mai convinto: lo trovava poco interessante, brutto, mai brillante. Inoltre era un fiero nemico dei colori. Solo due o tre volte si era interessato a suo padre, ed era coinciso con degli attacchi di cuore: era diventato prima rosso, poi bianco, poi azzurro, infine viola, in un crescendo di nuances che l’avevano affascinato. Ma la mamma era arrivata subito con una siringa che l’aveva fatto tornare del solito grigio. “Se penso che potevi morire!” diceva poi. E Sandro nel suo angolo si chiedeva “Ebbene?” (avendo letto molti classici pensava in un linguaggio un po’ arcaico). Ebbene: ci sarebbe stata una pensione, avrebbero traslocato, la mamma avrebbe trovato un uomo più simpatico, magari ricco, magari un artista!

Proprio in quel periodo il cuore del papà si fece particolarmente riottoso: basta un nulla, un contrattempo, uno sbalzo di temperatura, il conto della tintoria, a scatenare l’arcobaleno sulla sua faccia. Sandro decise che era anche il tempo di vendicare i suoi pappagalli tropicali e sostituì il marrone della medicina con quello brillante e fiero che aveva ottenuto mescolando il suo miglior rosso ad olio con una tempera verde prato. Quando la mamma glielo iniettò nelle vene , il papà diventò di un bianco strabiliante ed indimenticabile, con toni azzurri da aurora boreale.

Il funerale fu decoroso. Sandro riconobbe nelle corone molti dei fiori che aveva già disegnati, ma molti ne scoprì. Avrebbe voluto subito omaggiare la loro bellezza , ma la bara era costata parecchio e per avere nuovi colori c’era da aspettare. “Peccato aver sprecato tutto quel rosso ad olio” penso’ ” forse ne bastava anche meno.”

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