Sovrana di nome e di fatto… bau

Prima di chiamarmi Sovrana, avevo un altro nome.
Mi chiamavano in un altro modo, quelli là. Conosco benissimo il suono, lo conosco e lo riconoscerei tra mille. L’ho imparato bene e ora uso ciò che so per tenermene ben lontano.
Non lo voglio ricordare.
Non voglio ricordare niente di quel periodo, di quel luogo, di quelli là.
Dicono che dimentichiamo subito, che non abbiamo la cognizione del tempo. Sapessero come si sbagliano! Ce l’abbiamo eccome, soprattutto quando il tempo passa male, quando ci maltrattano o ci abbandonano, se va bene. E tra poco ci risiamo: arriva l’estate, ne molleranno tanti. Proprio in quelle situazioni serve resistere. Non tutti sono capaci. Questione di indole, di tempra e anche di struttura fisica. Io sono in forze, sono giovane, ho un carattere forte e – sostiene M. – equilibrato.
Chi è M.? Poi lo spiego.
Dev’essere stato proprio l’equilibrio a suggerirmi di aspettare il momento giusto.
Me ne sono andata via da quelli là solo quando anche l’ultimo dubbio è diventato certezza: non facevano per me. L’avevo sospettato alla prima annusata, devo ammetterlo a me stessa, ma non ho avuto la necessaria intraprendenza. Ero piccola, con poche nozioni a supporto dell’istinto e scarsa iniziativa se non per reagire con gioia ad ogni piccolo, minimo accenno di bene dimostrato da quelli là. Insomma, ci ho messo un po’, ho concesso troppi benefici del dubbio, fino alla misura colma.
Avrei anche potuto far loro del male fisico, ma avrei rischiato di finire in una situazione peggiore, perciò – mi sono detta – cerca alla svelta una via di fuga. Appena il pertugio del recinto è rimasto aperto quel tanto da poterlo allargare abbastanza, mi ci sono infilata e via.
Piuttosto per i campi, piuttosto a raccattare cibo nella pattumiera altrui, piuttosto a dormire dove capita, anche sotto la pioggia, ma via di là!
Sono una ribelle? Se salvaguardare la mia dignità e la mia vita significa essere ribelle, sì: sono ribelle. È un dovere esserlo se non ti apprezzano, se ti calpestano, se ti maltrattano, se ti considerano un essere inferiore. E lo fanno ancora in tanti, troppi. Tanto è una bestia: quante volte l’ho sentito? Che nervi, che voglia di azzannare una mano, un polpaccio, un garretto, ma ho imparato a usare la rabbia a mio favore, ad aspettare l’occasione giusta e a riconoscerla. Via di là!
Mi sono allontanata il più possibile. Non per dimenticare, ma per non pensarci. Ho girovagato qualche giorno, poi ho incontrato loro: ho capito, immediatamente, che non mi serviva con loro essere ribelle, anzi! Certo, avrei potuto incontrare chiunque, ma sono stata fortunata: due persone speciali. Cioè, no, non sono speciali: sono come dovrebbero essere tutti. Due brave persone, con l’educazione e la sensibilità che dovrebbero essere di tutti, con quell’amore per noi “bestie” che divide il mondo in due, chi li ama e chi no. Non ci sono troppe sfumature, non si può amare a patto che.
M. lui, C. lei. Già dalla voce ho capito che loro amano.
Mi hanno chiamato, il tono sommesso, confortante, l’atteggiamento giusto, al mio livello. Ho annusato le loro mani con i palmi protesi verso di me: amichevoli, buone, abituate a gestire miei simili. Ne avevano infatti uno ciascuno. Due maschi, uno piccoletto, simpatico e furbetto, con l’aria del saggio che fa da paciere se serve, l’altro, invece! Uno gnocco da paura: lustro che pareva l’avessero passato con la cera, atletico, lo sguardo un po’ sfuggente, da conquistatore, le orecchie scompagnate una su una giù, le zampe in agitazione con quella voglia di correre che conosco bene e che, appena scappata, ho scatenato fino a non avere più fiato. Davvero un gran bel tipo, da farci un pensierino. Non ho fatto la civetta solo perché, a dire il vero, ero stanca e affamata. Da quando ero scappata ero a digiuno. Non mi ero fidata di niente e nessuno. Per bere mi ero arrangiata, però ero quasi al limite. Mi sono presa e goduta tutte le coccole che mi hanno fatto mentre mi palpavano ovunque in cerca di un segnale di appartenenza: microchip non ne ho, non me lo hanno mai messo quelli là, ma come potevo farglielo capire? Mi sono spianata per terra, pancia all’aria in segno di resa; che meraviglia di massaggi… nessuno mi aveva mai grattato la pancia così!
Li ho sentiti confabulare: «Che facciamo, la prendiamo noi?» «Per il momento sì, la portiamo dal veterinario e poi troviamo uno stallo. Le ci vuole una famiglia!»
Famiglia: cos’era? Non lo sapevo quel giorno, ma l’ho imparato con loro due, che si prendono cura di me. Non vivo con loro, non possono davvero tenermi, né C., né M. che – mi è parso di capire e poi me lo ha confermato il piccoletto – ha anche una mia simile, nel senso del sesso, anche se è diversa, una sovrana pure lei. Potrei pure andarci d’accordo, si diventerebbe amiche, ma due sovrane sullo stesso trono temo siano come i due galli nel pollaio. Non è indicato.
Quando sono stata certa che mi avrebbero tolto dalla strada, ho deciso di mostrare tutte le mie migliori qualità: la gioia, la simpatia, la docilità (questo dal veterinario è stato determinante), il sapermi comportare nei luoghi pubblici, la delicatezza nel contatto ancora più significativo considerata la mia stazza. I molossoidi – che nome orrendo per definirci, noi che siamo in grado di essere più dolci e appiccicosi dello zucchero filato – possono incutere timore, è risaputo. Di primo acchito e basta, però. É sufficiente avvicinarci, conoscerci, comunicare: con un cane? Sì, con un cane che è un individuo senziente, dotato di intelligenza tutta sua.
Mentre pensavo tutto ciò, M. e C. hanno continuato a parlare tra loro e con me: «Ma quanto è bella! Chissà qual è il suo nome… Come ti chiami?»
Ho pensato: non vi aspettate che ve lo dica, neanche, ma neanche! Quel suono, quelli là, mai più! Anche solo pensarlo mi dà la nausea e vedo un recinto, il buio della notte, sento tutti i rumori possibili e le sgridate perché non ero mai abbastanza attenta a questo e a quello e a quell’altro. Non faccio la guardia, io. Sono una sovrana, io!
«Sovrana, chiamiamola Sovrana».
Ho pensato: come lo hanno capito non lo so, ma è l’ennesima riprova che il nostro è un incontro predestinato.
«Sovrana, sì: lo è, nel portamento, nello sguardo, nella superiorità buona». Ecco, è così che mi hanno ribattezzata Sovrana. Questo ora è il mio nome.
In quanto Sovrana vorrei decidere dove andare e con chi stare. Mi sembrerebbe il minimo. Tanto più che io un’idea ce l’avrei… e avrei solo l’imbarazzo della scelta. M. o C.? C. o M.? Potrei anche decidere di non farmi andar bene nessun altro che loro, ma ho troppo rispetto, li amo troppo per quello che stanno facendo per me per comportarmi in modo così… così… egoista. Ecco, sì, sarei egoista e non è da me. Una sovrana deve pensare prima di tutto ai sudditi.
Il primo tentativo è andato così: ho ululato tutta la notte.
Una sovrana ingabbiata che fa? Tace? No, eleva vibrante protesta.
E così ho fatto, perché io, io sono Sovrana. E non mi sono limitata a protestare.
Quando un mammifero sente lo stimolo, che fa? D’accordo, che sia bene educato o meno, trattiene il più possibile. E così ho fatto. Ma una sovrana – come chiunque altro – se non riesce più a trattenere dopo che ha avvertito in ogni modo di aver bisogno di uscire, che fa? Scoppia? No, la fa.
E così ho fatto, perché io, io sono Sovrana, ma la faccio come qualsiasi altro mortale.
Risultato? Riportata al mittente immantinente.
Sconcerto, rabbia, delusione? Solo in parte in realtà e non tanto da parte mia.
Temo purtroppo che non sarà così semplice trovare qualcuno adatto a me e adatto anche a M. e C.: a loro e solo a loro ho affidato la mia sorte. Loro valuteranno, loro decideranno. Tuttavia, ci metterò del mio: ho imparato a mie spese che ci si deve far sentire, bisogna “denunciare” le situazioni non adeguate. Ho ululato, l’ho fatta… insomma, un bel test! Ecco, è così che ho frantumato nel giro di una notte le buone intenzioni che lastricavano una strada sbagliata.
Ci saranno altre occasioni? Spero, ma preparatevi: il sì o no decisivo mi spetta in quanto Sovrana, i sudditi – cioè coloro che diventeranno tali in quanto miei familiari – dovranno superare il test, che cambierà in base alle circostanze.
Ho solo due anni, ma la mia intelligenza acuta ed intuitiva è sempre all’erta. Se pare che io stia pensando ai fatti miei, in realtà sto ascoltando cosa mi capita intorno, cosa si dice, cosa si fa, cosa si mangia; bar, ristorante, parco… ah, ecco, di una cosa posso avvertire: non mi portate su un campo da tennis se volete preservare le palline.

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