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Strategie trumpiste

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New York, marzo –  Milioni di americani (e non americani) sono veementi sostenitori di Donald Trump e non esitano a manifestarlo apertamente, in ogni occasione. A loro poco importa essere definiti “razzisti” o “fascisti”. Se quello significa che gli stanno sullo stomaco gli stranieri (non solo i musulmani), che chiunque debba poter avere una pistola nella borsa, che le donne non possano abortire, che la scuola pubblica fa schifo e che se sei “sesso debole” devi essere retribuita di meno, allora chiamatemi pure fascista che “chi se ne frega”. Questo per fare una breve sintesi del profilo tipico del sostenitore di Trump, quello che lo segue nelle manifestazioni e che, insieme a Michael Flynn, accusato di aver mentito sui suoi rapporti sulla Russia, urlava alla convention repubblicana, “rinchiudetela, rinchiudetela”, rivolto a Hillary Clinton colpevole di ….. ah sì, di essere una donna candidata alla presidenza. Non ricordavo, per un momento, le loro profondissime ragioni.
Accanto a questi, ai quali pur riconosco il merito di avere convinzione delle proprie idee e coraggio di difenderle, sebbene siano oggettivamente e moralmente esecrabili, ci sono quelli che, sostanzialmente “trumpisti”, non hanno il coraggio di svelare la loro preferenza perché, per contesto sociale e gigantesco opportunismo, comprendono che fare coming out sul loro parteggiare per Bannon e compagni, sia un po’ come dire “io non pago le tasse e ne sono fiero”. Cose cosi’, insomma.
Questi qui (e queste qui), un po’ democristiani dentro, che non vogliono poi realmente scontentare nessuno, per paura di perdere il consenso di cui godono nel loro condominio (o pianerottolo) o nello spogliatoio della palestra (dove secondo Trump si puo’ liberamente dire che le donne “vanno afferrate per la vagina” (detto più volgarmente, ma io sono pur sempre una signora), giustificano le azioni (ingiustificabili) dell’inquilino della Casa Bianca usando delle frasi che meritano ricchi premi e cotillons.
All’inizio era un verbo (non “il” ma un): “lasciatelo lavorare”. Che, in realtà sono due, ma nella realtà di chi ama “i fatti alternativi” e’ uno e non si discute. “Lasciatelo lavorare” e’ stato il monito più utilizzato per giustificare nomine abominevoli come quella di Bannon e DeVos e Flynn, il primo “muslim ban” e il secondo, la guerra ai diritti delle donne, la distruzione dell’Obamacare, le bugie dette dalla leggiadra Kellyanne in tv. Lo volete lasciar lavorare o no? E se uno provava a dire “vorrei evitare che distrugga il paese che amo”, quelli subito con “ti ricordo che e’ stato democraticamente eletto”, come se un’elezione democratica corrispondesse di suo ad avere carta bianca per squassare una nazione. Da napoletana, rispondo allo sbandieramento delle carte bianche con lo stesso suono con cui il principe Antonio De Curtis rispondeva all’ufficiale nazista.
La frase della “stagione primavera – estate”, attualmente in corso sulle passerelle di tutto il mondo, è “era lo stesso anche con Obama”. Fateci caso: lo ripetono incessantemente e anche a sproposito. “Era lo stesso con Obama”, fermandosi, laddove questa frase abbia un senso, come nel caso tristissimo delle deportazioni, solo al titolo, cioe’ alla sintesi estrema. L’obiettivita’ imporrebbe un’analisi appropriata che rivelerebbe come – sí certo, Obama non ha certo “brillato” in tema di deportazioni (cari trumpisti allora che vi atteggiate a fare?), ma, contemporaneamente, lavorava per una riforma dell’immigrazione bloccata dai repubblicani; ha dato possibilità a milioni di giovani portati qui illegalmente quando erano bambini, di veder riconosciuto il proprio diritto alla cittadinanza; non ha mai sospeso procedure di rilascio “veloce” – previsto dalla legge – di visti di lavoro (sospensione valida ora per tutti i paesi) e, diciamolo, uno non si sentiva terrorizzato a mettere piede in questo paese se – che ne so – aveva la pelle nera e si chiamava Fatima (il turismo e’ gia’ calato del 6%: grazie Trump).
Molto spesso, va detto, però, che la superficialità, la manipolazione, il tentativo di depistare dalla realtà, contenuto in queste frasi, non è frutto di cattiva fede ma solo di ignoranza. Come quando si afferma che grazie all’ACA (l’Obamacare) è stata garantita assistenza sanitaria agli illegali. Per quanto io sarei stata favorevole anche a questa possibilità, devo ammettere che è falso. Bisognerebbe, però, conoscere la legge.
In compenso i repubblicani, con la Trumpcare, stanno per togliere l’assistenza a una decina di milioni di americani (inclusa la sottoscritta). Vabbe’, pero’, daranno 157 miliardi di sgravi fiscali ai milionari. E mi sembra una gran bella cosa. E no, non succedeva anche con Obama. Credetemi.

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ANGELA VITALIANO

In un giorno di giugno, mentre sua madre stava per lasciare l’ospedale perché “non era ancora tempo”, decise di nascere e, solo per questione di minuti, non lo fece in ascensore, dimostrando subito che sarebbe diventata una gran rompiscatole. Dopo 18 anni a Salerno, si trasferisce a Napoli per frequentare l’Istituto Universitario Orientale, dove si laurea “con lode”. Con la città e’ amore a prima vista ma anche a seconda e terza. E’ quella, infatti, la città che mette in valigia nel 2007 quando, in maniera folle e sconsiderata, si trasferisce a New York per portare a termine un progetto ambizioso: ritrovare la felicita’. Attivita’ nella quale e’ ancora impegnata a tempo pieno. Felicemente. Giornalista di “inchiostro” e “immagini” e’ grata per l’ospitalità al Mattino di Napoli, all’Espresso, alla Rai, a Gioia, a Grazia e all’Huffington Post USA (in inglese). Ha pubblicato 4 racconti in diverse antologie di autori. E’ sicura che un giorno intervisterà Michelle Obama.

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