L’idea che espongo qui è vecchia di 26 anni; posso essere così preciso perché coincide con il giorno in cui si svolse il referendum per modificare la legge elettorale “Mattarella” in vigore dal 1993: era il 18 aprile 1999.
Esattamente sei anni prima, il 18 aprile 1993, il SI di 28.415.407 italiani (82,57% dei voti validi) aveva deciso il superamento del sistema proporzionale che aveva accompagnato tutta la storia della Repubblica, e aveva dato il via libera a una nuova legge elettorale per il Senato: il 75% eletti in collegi uninominali maggioritari e il 25% assegnato con criteri proporzionali. Il Parlamento doveva adeguare la legge elettorale della Camera all’esito referendario; lo fece con la “Mattarella” che rispettava le quote percentuali (75 e 25) ma introduceva una differenza rispetto al Senato dove si votava su una sola scheda, si dava un solo voto, e il “recupero proporzionale” avveniva con calcoli definiti dalla legge. Per la Camera si decise invece che le schede sarebbero state due, una per il maggioritario e una per il proporzionale e ovviamente due i voti.
I promotori del referendum – fra i quali ero anche io – proposero non l’abolizione della quota proporzionale, come subito deformò la disinformazia propagandistica, ma che il recupero di quella quota avvenisse, anche per la Camera, con una sola scheda e un solo voto. Anche questa volta i SI dilagarono; furono 21.161.866 pari al 91,52 % dei voti validi. A non esser valido fu però il referendum perché andò alle urne SOLO il 49,58% degli aventi diritto, circa 200.000 meno del quorum.
Questa lunga premessa “storica” per dire che da allora cominciai a rimuginare per trovare una soluzione che impedisse il ripetersi di quello che considero ancora oggi un vero e proprio scandalo democratico. Misi a punto una ipotesi di cui parlai con molti colleghi parlamentari, senza però darle un seguito formale con la presentazione di una proposta di legge prima di uscire definitivamente dal Parlamento, venti anni fa. Me ne sono più volte pentito, e ho continuato a discuterne con esperti della materia. Proponevo, a regolare i referendum, una norma molto semplice, che suona più o meno così: ” I quesiti proposti si ritengono approvati se i favorevoli prevalgono sui contrari e sono pari almeno al 25% più uno degli aventi diritto”.
Vediamone gli effetti applicandola al referendum di ieri. Gli aventi diritto erano 51.301.377 – il 25% più uno è pari a 12.825.345. Tranne il referendum sulla cittadinanza, gli altri quattro superano (due) o sfiorano (gli altri due) questo limite. Cosa vuol dire? che con una norma siffatta Landini & C. avrebbero vinto? No. Vuol dire che i contrari avrebbero dovuto darsi da fare per mobilitare undici, dodici milioni di elettori per aggiungere i loro NO a quelli già presenti nelle urne e superare, in tal modo i SI. Cosa senz’altro possibile ma non certa come era invece certo il mancato raggiungimento del quorum in base alle norme attuali.
Per prevalere sul SI che ha il 25% più uno degli aventi diritto, il NO deve raggiungere almeno il 25% più due. Il 50% sarebbe, così, sicuramente superato; e non avrebbero ragion d’essere le litanie sulla crisi dell’istituto referendario. Ieri i NO avrebbero potuto vincere, ma non era affatto sicuro. E pur nel caso di sconfitta dei promotori e dei sostenitori del SI nessuno avrebbe potuto metterli in berlina come presuntuosi e incompetenti acchiappafarfalle. (Inciso irrilevante: io avrei votato NO)
Assolutamente certo è che ne avrebbero guadagnato la democrazia, come la serietà del dibattito e della competizione politica.
La ratio della norma che caldeggio è evidente: vuole mantenere nella sostanza il vincolo attuale per la validità del referendum, cioè la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto eliminando però lo svantaggio – per così dire strutturale – dovuto al fatto che la quota di elettori che fisiologicamente non va alle urne gioca a vantaggio dei NO. Quando andava ordinariamente alle urne l’80/90% degli aventi diritto la disparità fra favorevoli e contrari – pur sempre presente – era meno incisiva e, quindi, meno utilizzata. Ma da quando la percentuale dei votanti ha cominciato a scendere fino ai livelli odierni, quando si fa fatica a superare il 60% degli aventi diritto anche nelle elezioni più importanti, le “legislative” che rinnovano il Parlamento, il gap diventa insostenibile, e vanifica non solo la competizione democratica fra le diverse posizioni ma l’istituto stesso del referendum.
Il problema esiste però – va detto – in radice, da sempre: infatti se i contrari all’approvazione del quesito proposto decidono di disertare le urne, l’onere del superamento del 50% degli aventi diritto è tutto a carico dei favorevoli – come se la norma fosse “il quesito proposto a referendum è da intendersi approvato se i favorevoli sono pari al 50% più uno degli aventi diritto”. La Costituzione prevede invece che questo onere sia sostenuto da tutti i cittadini elettori, tanto i favorevoli, quanto i contrari. Chi vuole puntare al fallimento di un referendum invitando all’astensione può sempre farlo, ma con la modifica che auspico l’asticella non è all’altezza inarrivabile del 50% e corre quindi dei rischi; per puntare alla vittoria deve impegnarsi nella competizione e contare sulle proprie buone ragioni.
Considerazione conclusiva, valida in generale: quando ci si trova di fronte a un difetto nel funzionamento delle istituzioni e degli strumenti della democrazia, la risposta giusta non si trova accrescendo gli ostacoli (aumento più o meno sconsiderato delle firme, quando poi siamo in un’epoca in cui per via elettronica è facilissimo raccoglierle – il quorum riferito non agli aventi diritto ma ai votanti nelle elezioni “politiche” più recenti – e simili). La via maestra è individuare bene il problema e trovare la soluzione più razionale e semplice. I limiti della democrazia si superano con un di più – non un di meno – di democrazia.
magari!
Sono molto d’accordo con questa proposta. Aiuta la partecipazione democratica in modo serio, razionale e secondo me, molto necessario
Faccio battaglie contro la caccia da 40 anni. Ci abbiamo provato anche con i referendum e il risultato è stato quello di (quasi) tutte le consultazioni. Il problema, me ne sono accorto presto, è che in ogni schieramento politico c’è gente che promette cambiamenti epocali a parole, ma una volta arrivati nella classica stanza dei bottoni… par di vedere quella famosa macchietta di Verdone al comizio: “… Come facevamo se allora avevamo le mani legate?!”. Ricordo la telefonata con un noto onorevole dei “Verdi”, col cognome che fa rima conn il termine più sotto blerato che ci disse in buona sostanza: “Il contentino del referendum sulla caccia lo avete avuto (arrivammo al 43% di affluenza); ora vedete di non rompere più i C*******!”.
La verità? Al Conduttore del tram non conviene che il Popolo, l’elettore, possa tenere in mano una leva della guida del mezzo. Che sia un conduttore di destra o di sinistra. Meglio che il cittadino non si affatichi, che lasci fare al Palazzo.
Non sono un’esperta ma mi appassiona la politica. Credo che con un quorum del 25% e quesiti come quelli dell’ultimo referendum nessuno- contrario- si sarebbe precipitato a votare ed avrebbero vinto i sì. Il problema è l’abuso del referendum per temi tecnici che riguardano solo parte della popolazione.