Vaffanbrodo, dice.
Fosse facile.
È leggenda quella che sostiene che chiunque lo sappia fare, e sono pochissimi i libri di ricette che lo spiegano. Lo si tramanda da genitore a figlio, o in mancanza si improvvisa.
E invece no, gente. Ci vuole stile anche per un accidente di brodo.
Perché per prima cosa si deve decidere se è un buon bollito quello che si vuole, o si punta tutto su quel meraviglioso liquido ambrato che nelle notti d’inverno è di conforto come un plaid, un gatto e un caminetto.
Nel caso la seconda opzione fosse la vostra scelta, iniziate pelando una cipolla e infilzandoci cinque chiodi di garofano. Poi pulite due carote e lavate un piccolo pomodoro, un pezzo di sedano e un ciuffo di prezzemolo. La carne è ovviamente a piacere: solo manzo o mista; io ci metto un pezzo di punta di petto, uno di biancostato e, volendo, una coscia di pollo. Quello che è essenziale, assolutamente, è un ginocchio: non c’è osso che lo batta.
Rotolate la cipolla in una padella antiaderente calda per qualche minuto, poi infilatela in una pentola (meglio a pressione) nella quale avrete messo tutto il resto, coprite con acqua, aggiungete un pugno di sale grosso, chiudete e fate andare. I tempi sono variabili, fino a un’ora. Poi spegnete, lasciate raffreddare, aprite. Prendete il classico colabrodo (un colapasta a buchi stretti) e una ciotolona larga, versate il brodo trattenendo il resto, mettete la ciotola (non calda, eh) in frigo o sul balcone se fa freddo, e aspettate che il grasso si rapprenda in superficie. A quel punto con una schiumarola lo togliete e quello che c’è sotto è il Brodo, quello con la maiuscola.
Potete servirlo (dopo riscaldato, ovviamente), da solo in tazza, oppure in piatti in cui avrete messo dei pezzi di pane raffermo, pepe e un filo d’olio, o ancora buttando nella pentola, quando bolle, un uovo sbattuto col parmigiano, mescolando velocemente con una forchetta.
O con un sacco di altre cose, di cui parleremo nella prossima puntata.