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Manuale di sopravvivenza

Via Ostiense, ore 12

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La Roma brutta

– Alberto?
– Oh, ciao.
– Secondo te io sto fuori?
– Che fuori, come?
– Di testa dico.
– Che palle, Emilio. No. Però quando attacchi così l’idea mi viene.
– Aspetta che ti richiamo sul fisso.
Drin
– Vabbè insomma. Stavo a Via Ostiense, seduto al bar. C’era il sole e tutto, freddino però, la via è orrenda come poche. Solo a Roma si può credere, ma convinti, che una strada puzzolente piena di buche, di macchine, coi bus in mezzo, la ferrovia di qua e i mercati generali di là sia un posto “maggico”. Manco si vede il gasometro, dal bar, che quello vabbè, almeno. Sto lì con un’amica, parliamo, stiamo bene, benissimo. Certo davanti ci sta un palazzone brutto ma brutto, dieci piani di bruttezza. Una cosa oscena, e vabbè. I mercati non ci sono più, sì, ma era meglio quando c’erano. Ora è un cimitero, il Verano due la vendetta. E vabbè. Insomma, stiamo lì a parlare, questa amica è un’amica nuova, fichissima. Gran testa. E pure carina, carinissima. No, è felicemente accasata, poi io lo sai no? Che te lo dico a fa’. Basta. Insomma il punto è questo. Davanti al tavolino passa gente in continuazione, no? Infatti. Noi parliamo, ma bene, ci piacciono le cose che ci stiamo dicendo, ci interessano. Bè, però ogni tanto io, che sto rivolto verso il marciapiede, alzo lo sguardo perché uno mica può guardare sempre in faccia le persone, no?
– Bè?
– Bè, bè. Bè fa la pecora.
– ……..
– Tutte le volte che alzo lo sguardo vedo passare la stessa faccia.
– La stessa faccia.
– Eh.
– In che senso?
– Nel senso che vedevo sempre la stessa faccia.
– Ah. E com’era sta faccia? Uno che conoscevi, uno pericoloso?
– Ma che cazzo dici. Una faccia di donna. Coi capelli biondi, lisci, abbastanza corti. La riga da una parte. Gli occhiali scuri.
– E chi era?
– No ma non era sempre la stessa.
– Allora, Emilio. Io sono amico tuo però tu te ne approfitti. Io sto qui, calmo, al telefono, e ti sento. Però tu non è che…chiaro, no? Sennò ciao, ci sentiamo un’altra volta, che dici?
– Il fisico.
– Eh?
– Cambiava il fisico. Una volta era alta e snella, un’altra cicciotta. Una era bassissima, quasi nana. Una c’aveva il cane, un barboncino. – Un barboncino.
– Un barboncino. Quella col barboncino era vestita meglio, elegante. Era la più elegante di tutte, odiosa.
– Ho capito.
– E non lo so, se hai capito.
– Infatti. Ma la tua amica, glielo hai detto a lei che vedevi le donne uguali?
– Sì, a un certo punto gliel’ho detto.
– E lei?
– Mi ha ringraziato.
– Ah. E perché?
– Ha detto una cosa bella, importante.
– E sarebbe?
– Che la faccio sentire diversa.

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