Se penso al Giudizio Universale di Michelangelo e alla esibizione estetica della corporeità che associa finzione pittorica e sentimento ‘tattile’ della realtà, direi che Bernard Berenson aveva visto giusto nel paragone con Raffaello. Michelangelo è volutamente osceno. Mise tecnica e virtuosismo a servizio del tormento religioso e sensuale che lo pervadeva. Si sa che le critiche in clima di Controriforma (o di Riforma Cattolica che dir si voglia) furono anche più decise di quelle che piovvero quando lavorava all’opera.
Nel ritoccare dopo il Concilio di Trento (1564) le nudità della Sistina Daniele da Volterra ci mise tutta la devozione che aveva per il suo maestro. Ma questa cura non gli risparmiò l’epiteto di ‘Braghettone’, per le braghe con cui rivestì le immagini di santi e dannati giudicati indecorosi. I riformatori cattolici la pensavano così. Avevano torto? La domanda non ha risposte evidenti. Chiama in causa il significato delle immagini e quello delle intenzioni. Ho sempre pensato che quel trionfo della corporeità, l’enfasi delle masse muscolari, di gambe e braccia, seni e natiche dei presenti alla cerimonia finale del Tempo, sia la più conturbante e ‘trasgressiva’ immagine emersa nell’ arte occidentale degli ultimi cinque secoli (altro che Cattelan!). Per questo la potenza espressiva di Michelangelo si collega (concordo con Berenson) direttamente alla lezione di Masaccio a sua volta emulo di Giotto. E tuttavia in Michelangelo la predilezione per il reale raggiunge un effetto di voluta forzatura, di smisurata attenzione plastico-lineare che indulge ad esibire una umanità gigantesca e prometeica che, per essere fin troppo umana, sconfina nel ‘superumano’ …
Un simile messaggio sarebbe dunque in aperta contraddizione col significato del Giudizio, dove Cristo Redentore impone all’uomo il segno della salvezza e della dannazione. Sul piano visivo il monumentale affresco appare così clamorosamente ambiguo. Ogni sua parte può essere interpretata tanto come prova di devozione che come rivolta della ‘carne’ alla Parola di Dio. Da questo punto di vista non si può dire che i Cattolici riformati non avessero meditato a fondo nel giudicare l’intima espressione del pittore. Esagerarono tuttavia i censori quando pretesero dal ‘Braghettone’ non solo di ricoprire pudende, ma anche di rimodellare l’ affresco là dove pareva loro alludesse ai ‘piaceri della carne’. E’ il caso di San Biagio e Santa Caterina di Alessandria che, come risulta da una copia del Giudizio di Marcello Venusti (1549) erano disposti in modo indecente: Santa Caterina completamente nuda e San Biagio accovacciato alle sue spalle fecero pensare quegli ‘esprits maltournés’ alla simulazione di una copula…! Daniele da Volterra ritoccò il santo con il volto rivolto verso il Cristo e non più piegato a ridosso della santa, che venne a sua volta ricoperta da una tunica verde con i seni appena accennati. Così pensarono i censori di mitigare la vertigine sensuale che tanto aveva colpito l’occhio di padre Gian Andrea Gilio che ne scrisse al Papa: «… l’ha fatta chinare [santa Caterina] dinanzi a san Biagio con atto poco onesto, il quale, standole sopra coi pettini, par che gli minacci che stia fissa, et ella si rivolta a lui in guisa che dice “che farai?” o simil cosa…». Il Gilio era studioso profondo e uomo di cultura. Ma non poteva ammettere che Michelangelo avesse sacrificato le esigenze dell’arte sacra alle sue inclinazioni stilistiche, consistendo secondo lui l’ errore estetico nel mescolare il ‘vero’ con il ‘finto e il favoloso’. Del che, a ragione veduta, non si può dare torto al religioso censore che si rivelò per l’occasione anche dotato di una certa intelligenza critica.
La copia dall’originale di Marcello Venusti