La osservo, in questa serata grigia di pioggia indecisa, nuvole basse, suole consumate che si sottraggono alle strade consuete.
Osservo, restando ferma ai bordi della creusa[1], la limaccia, lumassa bousa[2], e relativizzo alla mia immobilità il suo moto.
Procede impercettibile, implacabile e inconsapevole, neppure conscia, nel suo riproporsi, di una precarietà che sa di eterno. Trascorre l’orto, la strada e il tempo con costante lentezza e sfuggente determinazione, scivola viscida sulla scialba e sottile scia lasciata.
Nulla difende il corpo molle e oblungo. Nella viridità di erbe e muschi si inoltra, strisciando quieta. Oscuro è quanto nell’umidore si cela, ma essa rifugge luce e calore, lei appartiene alle sfumature della sera, alle ombre della notte, alle serene inquietudini del riposo altrui. Cerca, nel rezzo amico, polpa di piante generose e foglie che la sostentino e la proteggano. Si nasconde, nel necessario piacere dello sfuggire. E’ scelta obbligata la sua natura.
Sono le immagini di un’infanzia di paese dove ombre di vecchi ingoiano limacce vive, persuasi che la bava possa sanare uno stomaco ulcerato di fatica e dolore. E poi i bambini, con le ginocchia graffiate che affondano nella terra bagnata dopo il temporale. Nel piccolo pugno stringono il sale, si chinano sulla limaccia che spunta nell’erba. Una neve di infiniti cristalli si posa sul corpo scuro e molle che si contorce, si asciuga e si spegne in un’agonia crudele.
La lumassa è celata, ora, al mio sguardo, inghiottita da un anfratto gentile. Resta di lei la scia d’argento, preziosa come le vite inutili. Insensato il mio restare immobile. Ma sento che il sale sta bruciando anche me.
[1] La crêuza (o creusa, crœza; pronunciaˈkrøːza) è un termine ligure spesso italianizzato in crosa che indica il tipico viottolo stretto o mulattiera che fende, spesso verticalmente, le colline liguri.
[2] Lumassa bousa (lumaca bavosa), una lumaca senza guscio.