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Fiammiferi Che passione

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C’è chi li usava per le sigarette e per appuntarci un numero di telefono. Chi li teneva in cucina, per il gas o il camino. E chi ha iniziato vendendo “fiammiferi svedesi” ed è finito con l’inondare il mondo di librerie Billy, come un certo Sig. Ingvar Kamprad, meglio conosciuto come mister Ikea.
Quando una “nazionale” (bluet dal pacchetto blu) costava 6 lire, e non tutti si potevano permettere anche il mezzo per accenderla, con la sigaretta tra l’indice e il medio ci si avvicinava al primo fumatore di passaggio e si chiedeva “ha un fiammifero?”, e magari l’altro porgeva la brace della sua sigaretta.
In seguito arrivarono i coloratissimi accendini Bic usa e getta, che hanno fatto la loro parte per accelerare la fine degli amati pezzettini di legno con la testina di zolfo (appunto zolfanelli). C’erano anche i cerini che al posto del legno avevano carta incerata arrotolata. Arrivò (benedetto uomo) anche il Ministro della Sanità Girolamo Sirchia che con la legge del 10 gennaio del 2005 vietò il fumo in tutti i locali pubblici, gli uffici, mezzi pubblici e via dicendo. Così, proprio i più belli che pubblicizzavano alberghi, ristoranti, linee aeree, ferrovie, grazie anche a quel divieto, non sono stati più distribuiti.
La fine dell’uso di un oggetto pur tanto comune è avvenuto per motivi uguali in tutto il mondo. Noi eravamo grandi produttori ed esportatori: c’erano 13 aziende attive nella produzione dei fiammiferi, ma ormai con il margine di guadagno tanto basso i Monopoli di stato hanno eliminato l’aggio e liberata la vendita. Purtroppo tutte quelle fabbriche un pò alla volta hanno chiuso. C’è un ristretto mercato tra fumatori di sigari e ammetto che, pur se costose, sono belle scatole.
Cominciai a raccogliere fiammiferi negli anni ’70 quando, ai clienti venuti a ritirare valuta e traveller’s chèque dal “mio” ufficio, e offrivano un regalo, io rispondevo: “mi porti una scatola di fiammiferi al ritorno dal suo viaggio”. Ha funzionato. Tutte le scatole della mia collezione sono perfettamente nuove. Le ho trattate sempre bene, al massimo sfiorate per immaginare di essere lì, lontano, ad accendere una delle mie care sigarette. Ho sempre nutrito un gran rispetto per loro e, anche se per 45 anni ho fumato a tutte le ore di tutti i giorni, mai mi è passata l’idea, che se avessi avuto bisogno, avrei potuto accenderne uno
La mia passione per queste piccole cose destinate all’estinzione ha anche un nome, Fillumenia.

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ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

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