Forbici d’oro

piccoli gomiti appoggiati sul grande bancone adibito al taglio delle stoffe. Tanto piccola da aver bisogno di uno sgabellino, uno di quelli che servono per sollevare la gamba su cui si cuce.
Il mio babbo rende eleganti gli uomini, pensava.
Il centimetro intorno al collo, ditale dalla punta tagliata, tipico del sarto da uomo, gesso quadrato bianco ed enormi forbici. Sempre in giacca e cravatta: in sartoria e in casa. Con maestria disegnava su stoffe dal valore incredibile la sagoma dell’uomo da rendere elegante. A mano e senza cartamodelli.
«Ma come fai?» gli chiedeva la piccola.
«Immagino» rispondeva il babbo.
Dal suo babbo andavano solo uomini di classe. Quelli che vogliono un pezzo unico. E quegli abiti erano pezzi unici. Le sole cuciture a macchina erano le due laterali e poi tutto rigorosamente a mano. Soltanto uomini di classe. E lei, una volta diventata grande, e ancora innamorata del padre, si divertiva a riconoscere gli abiti realizzati dal suo Forbici d’oro, con la loro linea inconfondibile.
«Ma quando le hai vinte?» continuava incuriosita la figlia innamorata.
«Nel 1960» rispondeva sicuro.
«Papà…»
«Dimmi»
«Tu ti ricordi quando sono nata?»
«Ma dai, non mi chiedere queste cose!»
Il mio compleanno non lo ha mai ricordato.

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