Predicava la libertà dei popoli, la giustizia sociale e il diritto alla cultura per i meno abbienti. Parlò all’ONU, alla Casa Bianca e alla BBC così come nelle fabbriche e nei campi profughi. Si oppose a due dittatori e, al pari di Guevara e Nenni, indossava un basco nero ma non fu né guerrigliero né leader politico: era solo… Pau Casals, il più grande musicista del suo tempo. Uomo libero, catalano orgoglioso, immenso violoncellista.
Fu oppositore di Franco, dovette abbandonare la Spagna in piena guerra civile. Era a Parigi quando, poco dopo, iniziò il conflitto mondiale. I nazisti lo minacciarono, Hitler lo voleva a Berlino ma lui rifiutò disposto a pagare qualsiasi pena. Nel ’46, siccome la dittatura franchista non terminava, si ribellò con l’unico atto di protesta che poteva compiere; come fosse un monaco tibetano che si da fuoco in piazza bruciò, per sempre, la sua arte condannandosi al silenzio. Tornò in esilio, era “insopportabile l’idea che qualcuno, nel mio paese, subisca orribili torture negli stessi istanti in cui regalo spensieratezza e melodie in qualche sala da concerto“, così spiegò la sua decisione. Andò a vivere a Molitgt-les-bains, uno sperduto paesino sui Pirenei francesi, lo scelse per rimanere vicino alla sua Catalunya. Consumò i suoi beni per aiutare i profughi che attraversavano il confine e decise che avrebbe suonato soltanto in quel piccolo borgo.
Cosa sarebbe stata la musica priva di quel Michelangelo dell’archetto in giro per il mondo? I suoi colleghi decisero che il mondo sarebbe andato da lui. Nacque così, nella vicina Prades, uno dei festival di musica più importanti che si possano immaginare; miracolo laico, per suonare con Casals si mossero tutti i più famosi musicisti del suo tempo.
Fu gara per offrirgli documenti e cittadinanze, le rifiutò tutte, rispondendo “io la mia nazionalità l’ho già, caso mai a Franco devono toglierla“. Alla fine di ogni concerto eseguiva “El Cant dels Ocells”, un antica melodia natalizia catalana, dedicandola a tutti gli esuli della Terra, divenne la sua firma. Fu per questo che, presso la casa di Moligt, fece costruire un carillon a campane che tuttora suona, tre volte al giorno, quell’inno nostalgico. Gli oppressori hanno perso e Pau ci parla ancora: “la Musica… può salvare il mondo“.