Nell’Ade della politica

Un gruppo di ex-compagni di scuola, i reduci della famosa Quinta D, maschietti turbolenti, maschere di vite improvvisate, gloriosi nel loro impacciato orrore, si rincontrano da adulti per un lavoro, chiamati da quello là, quello che del gruppo d’allora non aveva veramente mai fatto parte, che tra tutti si era meritato il soprannome più infamante. Devono organizzargli la campagna elettorale. Ha fatto fortuna.
Il romanzo ci porta dentro una Milano grottesca, nera, torbida, forse com’è davvero diventata in questi ultimi anni, descritta in un linguaggio vivace, tridimensionale e variopinto, lussureggiante e doloroso il giusto.
In alcune pagine gli oggetti, le case, le strade, appaiono più vivi delle persone in carne ed ossa.
Ci sono momenti di perfezione in cui la scrittura diventa vita: “torno a casa con un magone che tira il guinzaglio, un cane che non abbaia ma sbava rimorsi”, “… la cattiveria è soffice come la mollica”.
Il compito del gruppo si rivela tanto squallido quanto periglioso. Il loro capo, che di nome fa Matteo Migliore, è l’orrenda caricatura del tipico politico odierno.
Nell’immaginifico plot appare anche una venatura gialla, di cui però non vi racconto nulla, lasciandovi nella curiosità di conoscere da vicino la vittima, quasi innocente, e il suo perfido assassino. Vi garantisco che a un certo punto li scoprirete.
In attesa dell’inatteso finale alla banda di ridicoli eroi capiterà di tutto e anche l’altrettanto disgustoso opposto. Nell’Ade della politica moderna.
Al protagonista, che si narra in prima persona, capitano anche momenti di profonda riflessione, di lucidità, quasi vergogna: “sono in una di quelle fasi cui si fanno avanti esclusivamente circostanze inattese, fiduciose che in tanta confusione un posto lo troveranno”. E spuntano persino imprevedibili momenti di umana commozione e generosità per la vecchia gattara Lina dalle ciabatte scozzesi, disegnata dall’autore con ruvida tenerezza.
Nel frattempo, la realizzazione della campagna elettorale comprende momenti incresciosi e orripilanti, ma, purtroppo, presi di peso dalla realtà attuale. Negli ambienti più disparati si assiste allo sfacciato spaccio di promesse elettorali che comportano la realizzazione dell’esatto contrario dei furibondi slogan su cui la campagna stessa è imperniata.
In realtà, riflette fra sé e sé il protagonista, di fronte all’incredibilità delle affermazioni che egli stesso pronuncia: “l’ossessione per il consenso ha disperso i confini della ragione così, nel tempo di adesso, chi vince finisce per cimentarsi in sciarade in cui responsabilità e omissioni hanno lo stesso significato” … “Non potremmo certo stupirci se il futuro di cui ci riempiamo la bocca si rifiutasse di dare il cambio al mondo che gli offriamo…”.
Si assiste a una politica senza etica, anzi senza nemmeno più politica. Solo scopo la carriera, carriere intercambiabili, potere puro. Si arriva a vedere il male che limpidamente agisce, razionale, feroce, impunito. Come in una deformazione dell’umano degna di Hieronymus Bosch, dove brandelli di sensi di colpa si agitano senza alcuno scopo.
Crudeltà, impotenza, lamiere contorte, la morte corre e vince le elezioni per le strade di Milano.
Un romanzo amaramente spumeggiante, a volte barocco, che porta il lettore in un mondo meschino e farsesco che assomiglia troppo a quello dove abitiamo tutti.
Eppure l’amore potrebbe ricominciare a dare un senso alla vita… forse. “E’ il solo errore politico per cui vale la pena perseverare”.

Il Gregge di Davide Grittani, edito da “Alter ego”, 2024, pag. 217.

Il romanzo corre per il Premio Strega.

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