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Società

Donne, non vittime

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L'astronauta Samantha Cristoforetti

Era il 2010 quando con Eliana Frosali e Alessandra Bocchetti ideammo la campagna riconoscilaviolenza, una campagna completamente diversa da tutte le altre, rivolta alle donne giovani, contro lo stereotipo della vittima.

In questi quattro anni quella campagna ha fatto il giro del mondo, è stata adottata dall’ONU, dal consiglio d’Europa, dalla Polonia, dalla Germania, dai paesi latino americani. L’anno scorso è stata finalmente adottata dal Governo italiano grazie a Cecilia Guerra, allora viceministro, e a Paola Tavella, sua portavoce, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Quella campagna è una campagna GRATUITA, chiunque la può adottare. Ci sembrava che fosse passato il messaggio, ci sembrava che le cose stessero cambiando (secondo me stanno cambiando), che lo stereotipo della vittima fosse superato, per lasciare spazio a messaggi più efficaci. Ci avevamo creduto, tutte. E invece, in questi giorni “arieccole”, le professioniste del vittimismo sono tornate in pompa magna. Tutte ringalluzzite hanno ricominciato a lanciare immagini di donne picchiate, violentate, con l’occhio nero, immancabilmente VITTIME. Tutte e tutti convulsamente che postano queste foto con messaggi stupidi e banali come “mai più!”, “stop violenza!”. Ma il messaggio subliminale è: guarda, vittima sei, vittima rimani, non credere di sfuggire a questo destino!.

In questi giorni, mentre mi saliva la rabbia, mi sono trovata a immaginare se avessi avuto una figlia adolescente. Sarei impazzita dalla rabbia, avrei voluto nasconderle queste immagini, avrei fatto di tutto per non fargliele vedere, ma sarebbe stato impossibile. Per fortuna mi è venuta in soccorso la nostra astronauta, Samantha Cristoforetti, una donna meravigliosa, che proprio in questi giorni (per fortuna) è stata su tutte le pagine dei giornali, su tutti i siti, sui social network, la prima donna italiana ad andare nello spazio. E allora ho pensato: se avessi avuto una figlia adolescente avrei tappezzato la sua stanza con le foto di Samantha, le avrei detto: «Figlia mia, guardale tutti i giorni e pensa che nella vita non ti è preclusa nessuna strada, neanche quella dello spazio, e io farò di tutto perché questo accada». Fatelo anche voi, madri italiane con le vostre figlie, e forse un giorno, presto, l’immagine della violenza come destino femminile non esisterà più, e non perché la violenza non esiste, ma perché alle nostre figlie avremo insegnato che non è l’unico destino che le aspetta, possono costruire giorno per giorno un futuro diverso, un futuro fatto di desiderio e di ambizioni legittime. Le donne vittime di violenza vi ringrazieranno, perché la loro tragica esperienza sarà servita a qualcosa, a rendere libere altre donne.

 

 

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ANNA PAOLA CONCIA

Abruzzese di nascita, mi sono laureata presso La Facoltà di Scienze Motorie de L'Aquila. Il mio impegno in politica ha avuto inizio negli anni ottanta nel Partito Comunista Italiano, poi nei Democratici di Sinistra (per i quali sono stata responsabile per lo sport) e in seguito nel Pd, di cui attualmente sono membro della Direzione Nazionale. Deputata nella XVI Legislatura (2008/2013), ho fatto parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. Sono stata editorialista (in Germania) del quotidiano l’Unità.

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