Lei è insopportabile e la detesti da subito. La gravidanza appena accennata e messa in risalto dalla mise succinta non addolcisce in alcun modo la sua fisionomia.
Lui fa di tutto per non farsi notare. Sembra un pesce fuor d’acqua anche nel ritrovo gay dove tronca la storia col suo compagno. Timido, grosso naso triste, occhi chiarissimi e inquieti.
E’ lì che s’incontrano Mia e Paolo, nel locale gay e da lì parte la loro storia. Improbabile e incongrua eppure autentica.
Fabio Mollo, alla suo secondo lungometraggio dopo il “Sud è niente” (2013), torna sul tema della famiglia con un’angolatura completamente diversa. Lì c’era una ragazza che, non rassegnata alla scomparsa del fratello, rimodella la propria vita a sua immagine e somiglianza, assumendo atteggiamenti e fisicità maschili.
Qui, nel più maturo “Il padre d’Italia“, il regista mette a fuoco le due personalità antitetiche di Mia e di Luca. Lei, appunto, eccessiva, irresponsabile, bugiarda. In una parola, schizzata. Lui, Paolo, “tre volte bon” come direbbero in veneto, così buono da apparire stupido. Generoso al punto di farsi coinvolgere negli eccessi della sua improvvisata compagna, di diventarne complice e di stravolgere la sua quieta esistenza di impiegato saltuario in un megastore di mobili a Torino. Ed è dal capoluogo piemontese che parte il viaggio, sul furgoncino aziendale, della strana coppia. Attraverso tutta l’Italia, passando per Roma e Napoli per arrivare in Calabria, luogo di nascita di Mia e dello stesso regista.
Un viaggio sconclusionato, alla ricerca di qualcosa e di qualcuno che né l’uno né l’altra sanno esattamente cosa o chi sia. Che pure segnerà una svolta importante nella vita di entrambi. Molto apprezzato dalla critica, con una distribuzione imbarazzante (a Milano si può visionare solo in un piccolo cinema d’essai o in un multisala di periferia), “Il padre d’Italia” tocca temi molto attuali. La precarietà – ma come cazzo si fa a vivere così – si chiede Paolo, guardandosi intorno nel misero appartamento in cui vive. La sessualità. L’omosessualità. L’amicizia. L’amore. Il diventare padri e madri. L’essere stati figli. Ma non c’è niente di schematico o di pedagogico nell’opera di Mollo, né alcun ammiccamento a fatti di cronaca recenti, la genitorialità omosessuale, solo il racconto di due esistenze, quella di Mia e di Paolo, che casualmente si incrociano.
Bellissimi i brani degli anni ‘80 di Loredana Berté, di grande spessore i due interpreti: Isabella Ragonese e Luca Marinelli che, nei rispettivi ruoli e con diverse sfumature, danno voce alle difficoltà dei giovani, alle loro incertezze e frustrazioni. Anche se a volte capita – questo il messaggio del film – che la vita improvvisamente abbia un senso e ti consenta di immaginare un futuro.
“Il Padre d’italia” di Fabio Mollo (Italia 2017)