Certo che sono stata io, ci può giurare. Avevo scarpe nuove, un vestito aderente, i capelli raccolti sulla nuca. Ero seduta lì, in penombra, ad aspettare. Altri si avvicinavano, ma io volevo lui, Diego De Santos. Ballava senza sosta, con passi temerari. Ballava con trasporto e presunzione, stringendo schiene e mani sempre nuove. Ma io restavo lì, su quella sedia, lisciandomi il vestito, i piedi stretti dentro le scarpe nuove. Così mi sono alzata e l’ho raggiunto. Gli ho strappato quel corpo dalle braccia, mi sono data a lui, cingendogli la vita. Lui mi ha guardata, ironico, sprezzante. Mi ha allontanata con una spinta brusca, che ha spezzato all’istante la magia. Così si è scatenato il fuoco. Così si è sciolto il nodo dei capelli e lo spillone mi è scivolato in mano. La gamba mi si è offerta, intatta, spudorata, il pavimento è diventato rosso. Che dice? Sono pazza? Come crede. Diego De Santos vivrà ancora a lungo. Ma di sicuro non ballerà più il tango.