la conclusione del racconto precedente (https://www.larivistaintelligente.it/senza-finale-siete-avvertiti/federico-maderno/ – che i lettori di LRI più affezionati attendono
…ciò che stava osservando, al fondo di quel tombino, era, senza possibilità di sbaglio, una moneta. Non più grande dell’unghia di un pollice ma incredibilmente rilucente, come se un unico raggio di sole, riuscendo a passare tra le sbarre del chiusino, la colpisse in pieno, e tutt’intorno rimanesse invece il buio dell’incavo. Si era alzato con grande fatica, ansimando, e poi con maggior sforzo s’era inginocchiato e afferrando la grata l’aveva infine divelta. Allungando una mano tremante, aveva cavato fuori il dischetto di metallo e l’aveva avvicinato agli occhi, giacché anche la vista, ultimamente, si era fatta debole, incostante.
Dieci centesimi! Dieci miseri centesimi di euro, fatti di quella lega vile che richiedono le monete odierne, ma così nuovi di conio che ci si poteva quasi specchiare dentro. Ecco dunque, se ce ne fosse stato bisogno, un’ennesima beffa del destino. Tanto basso era il guadagno da non valere neppure lo sforzo che s’era fatto per tirarli fuori da dove erano caduti di tasca a qualcuno.
L’uomo aveva avuto la tentazione di lanciarli lontano o di metterli nuovamente al loro posto, poi gli era venuto in mente che, in fondo, non ricordava più neppure l’ultima volta che qualcosa gli era andato per il verso giusto, e allora, tanto o pochissimo che fosse il profitto, non era il caso di offendere la sorte. Li avrebbe spesi per… Aveva scrollato il capo e si era rimesso a sedere. Cosa si compra, oggi, con dieci centesimi? Non è forse vero che quasi nemmeno più si vogliono come resto, i tagli inferiori al mezzo euro, destinati come sono a ingombrar solo le tasche e nient’altro?
Va detto – altrimenti non si capirebbe la conclusione di questo racconto – che proprio quel giorno era prevista, in quello stesso parco e a poche centinaia di metri dalla panchina, la sistemazione e l’inaugurazione di una statua equestre dedicata, niente di meno che, al Cavalier Aliprando Bertuccioli Dal Vento (già Plenipotenziario generale della tesoreria del locale dopolavoro ferroviario).
Il manufatto marmoreo, del peso di più di ventisette tonnellate, era stato quasi collocato sul suo piedistallo, ma sfortunatamente una braga della gru s’era all’improvviso staccata dal bozzello e l’aveva lasciato paurosamente in bilico, discosto dal piano del suo basamento di una quantità infinitesima, poco più di una fessura appena visibile, ma sufficiente per compromettere la sua stabilità e con il rischio evidentissimo che scivolando di lato potesse cadere al suolo danneggiandosi irreparabilmente.
Intorno a quel capolavoro artistico s’era dunque radunata una folla cospicua che in preda ad un panico crescente si chiedeva cosa si potesse fare per evitare il peggio. I tecnici responsabili dell’installazione e finanche l’autore dell’opera, l’esimio scultore Guidobaldo Cacca, già da qualche minuto si aggiravano disperati attorno a quella braga penzolante cercando una qualche soluzione. L’Ingegner Luigi Fessura, che in merito era considerato un’autorità, aveva valutato la distanza tra le due superfici con uno spessimetro a lamelle.
– Qualcuno ha per caso una confezione di Carta Spagna?! – si era messo a gridare, facendo riferimento a quella lamina in ottone da pochi euro che venduta in rotoli serve appunto ai meccanici per portare perfettamente a contatto i basamenti e i corpi delle macchine industriali.
Niente. Nonostante fossero presenti ormai centinaia di persone, qualcuno dice migliaia, non ve n’era una che fosse uscita di casa mettendosi in tasca cinque o sei confezioni di quei provvidenziali lamierini. Era stato rinvenuto un po’ di tutto: chiavi delle auto, carte d’identità, perfino una custodia per occhiali, ma di rotolini di carta Spagna neppure l’ombra. Quando serve qualcosa di veramente utile, mai che nessuno… va bene, lasciamo perdere.
– Quanto è lo spessore da chiudere? – aveva chiesto l’operatore della gru.
– Uno virgola novantatré millimetri esatti! – aveva risposto Fessura, senza esitazione.
– Giusto lo spessore di una moneta! – aveva commentato qualcuno.
Pareva l’uovo di Colombo.
In breve, decine tra gli astanti avevano cavato di tasca delle monete da un euro, porgendole all’Ingegnere.
– È tutto inutile! – aveva esclamato, ciondolando il capo, un noto numismatico locale. – La moneta da un euro è spessa esattamente due virgola trentatré millimetri.
– Io ne ho una da cinquanta centesimi! – aveva detto a mezza voce un geometra del Catasto, non senza una certa vergogna.
– Niente da fare: – ribadì il numismatico – i cinquanta centesimi sono spessi due virgola trentotto millimetri. E già che ci siamo, vi anticipo che l’unica moneta del nuovo conio spessa esattamente uno virgola novantatré millimetri è quella da dieci centesimi.
– Eh, la fa facile Lei…! – avevano esclamato all’unisono migliaia di voci – ma se lo sanno tutti che “quasi nemmeno più si vogliono come resto, i tagli inferiori al mezzo euro, destinati come sono a ingombrar solo le tasche e nient’altro”
Nella confusione che s’era ormai scatenata, s’era visto avanzare con passo incerto un vecchio cencioso che teneva sollevata, all’altezza del viso, una luccicante moneta da dieci centesimi.
– Può servire? – aveva chiesto, mentre la folla era ammutolita.
L’Ingegner Fessura aveva preso con la mano destra il “decino” e quasi fosse una reliquia gli aveva tenuto sotto la sinistra, a proteggerlo da una possibile caduta. Poi, con estrema delicatezza, l’aveva inserito nello spazio residuale tra il basamento e la statua, dove era entrato con una facilità e insieme con una precisione mai registrate negli annali della meccanica.
La folla era andata in visibilio. Guidobaldo Cacca, autore del monumento, era caduto in ginocchio piangendo come un bambino. Il gruista, che era il nipote di Fessura (non lo avevamo detto per questioni di riservatezza, ma adesso che tutto è finito non ha senso tacere) era corso in chiesa ad accendere sei ceri settimanali.
S’era portato in trionfo il povero vecchio cencioso. Nei giorni seguenti, con voto unanime del Consiglio del dopolavoro ferroviario, lo si era perfino eletto nuovo Plenipotenziario della tesoreria, ruolo che era rimasto vacante dalla morte del Cavalier Dal Vento. Indennità di ruolo: tremila euro mensili e parecchi benefit accessori.
A volte, la vita può cambiar direzione in un istante, come un refolo di vento in aprile.
P.S. All’autore era venuto in mente di dire che il pover’uomo aveva trovato, nel tombino, una moneta da un euro, ma poi gli è presa davvero troppa pena per quel disgraziato e ha concepito l’espediente vergognoso di un lieto fine.
ribadisco: autore geniale.
Grande, semplice, esaustiva della aleatorietà della vita umana 👍
Grazie, gentile.
Eccezionale per fantasia genialità e voglia di finire bene…ma sei parente di Stefano Benni??
Sono il pronipote scarso di Achille Campanile (magari!) Grazie.
Letterario, tecnico, ingegneristico e numismatico. Ma quante cose sa quest’uomo qua. E poi apri la televisione e ti viene da andare in bagno.
Troppo, troppo buono.