Giorno della memoria C’eravamo anche noi

Eravamo lì, in divisa, a farci prendere.
Avevo pensato alla fuga. Avrei potuto usare abiti borghesi: li indossavo talvolta per occuparmi degli approvvigionamenti con l’incarico di carpire informazioni, in caso scappasse una parola da qualche bocca. Con la scusa che conoscevo il tedesco… insomma, dovevo annusare l’aria; già, quell’aria fine del Brennero che tanto amavo.
Era chiaro che loro non ci amavano, anzi. Ci sopportavano a malapena. E ne ho visti con l’indice puntato a dare informazioni ai tedeschi.
Avevo pensato alla fuga ma non ci sono riuscito; non ho fatto in tempo; non ho voluto, alla fine.
Ci hanno preso.
Una cipolla, cruda – io, Antonio, che le detestavo – è stato il mio unico cibo la sera di Natale del 1943.
Se l’era procurata il mio Giuseppe, il mio attendente: voleva ancora considerarsi tale; non gli ho chiesto come né dove, ho immaginato l’avesse presa di straforo dove preparavano la nostra sbobba.
Le nostre baracche non avevano vetri alle finestre. Un freddo polare, a Deblin Irena, in Polonia.
È lì che ho deciso di rimanere internato militare.
Voi aderire alla repubblica sociale?
Ho detto no.
Ho ripetuto no tutte le volte che ce lo hanno chiesto, ogni volta che ci hanno spostato.
Ho girato l’Europa sui carri bestiame.
Da Deblin Irena a Biala Podlaska, Siedlce, Lemberg fino a Rawa Ruska.
Poi Sandbostel.
A gennaio del 1945 sono arrivato a Fallingbostel. Stremato, una larva o poco più.
Il 19 febbraio ci hanno detto ancora: se non firmate, morirete. Due giorni dopo – eravamo mille – abbiamo detto ancora no, non firmiamo.
Abbiano continuato la solita vita di piccole miserie e continue privazioni: con queste parole indoravo le notizie per casa, quando riuscivo a scrivere; cercavo di spiegare.
Chissà se capivano, fino in fondo, questo nostro voler restare prigionieri fino alla fine per non venir meno ai nostri princìpi.
La speranza era finita, la nostra miserabile vita no: un giorno ci siamo ritrovati senza tedeschi.
Siamo subito andati a curiosare nei loro uffici, a guardare nei loro registri e abbiamo visto elencati i nostri nomi, la nostra soluzione finale programmata a Buchenwald, di lì a poco.
Quando sono arrivati gli inglesi, il 16 aprile 1945, mi stavo radendo come ogni mattina vicino al reticolato.
Ho deciso di non buttarmi sul cibo. Ad alcuni è scoppiato lo stomaco. Ho mangiato solo zucchero per qualche giorno, poi, piano piano, tutto il resto disponibile, poco, sempre di più.
Dopo un mese mi hanno dato una identity card inglese.
I primi di luglio, al Distretto militare di Genova hanno calcolato due anni di prigionia in sessantamilacentosessantasei lire.
Il 29 agosto ho rimesso piede a casa.
Poi è arrivata la Croce al merito di guerra.
Poi… poi…
A proposito di memoria, volevo ricordare che c’eravamo anche noi, Internati Militari Italiani.

 

 

 

7 commenti su “Giorno della memoria C’eravamo anche noi”

  1. Teresa Trivellin

    “Ho detto no. Ho ripetuto no tutte le volte che ce lo hanno chiesto…”
    Quei “no”, quelli che proviamo a dire dalle nostre “tiepide case” nella quotidianità di “pace” che ci è data, non sono bastati, non bastano a non ripetere sopraffazioni e violenze. Continuiamo a ricordare, tutti i “sommersi e i salvati”. Continuiamo a testimoniare.

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