Bruno IL contadino

Si chiamava Bruno e faceva il contadino. Anzi, era “Il” contadino, nel senso che non ne conoscevo un altro, dalle mie parti e negli anni in cui io ero un ragazzino, che si occupasse esclusivamente di lavori agricoli. Erano gli anni settanta, la campagna si stava già spopolando e nelle famiglie si preferiva trovare buoni posti in fabbrica, e lasciare i lavori dei campi per qualche ora serale e per i fine settimana.
Bruno, no. Lui amava troppo l’aria aperta e il mutare delle stagioni. In una fabbrica, probabilmente, sarebbe deperito nel volgere di qualche settimana e poco gli importava se quando tanti altri tornavano a casa dai loro impieghi, la sua giornata lavorativa poteva dirsi giunta solo a metà del percorso.
Lo avevo conosciuto quando avevo una decina d’anni e lui era già un adulto, con una piccola azienda agricola famigliare nella quale era inevitabilmente il tuttofare, col solo aiuto di un padre anziano e di una moglie non troppo in salute. Poi, c’era C****, figlia unica che avevo visto, si può dire, nascere, perché è più giovane di me di sette anni.
Bruno era un fascio di ossa e di muscoli sottili come i rami elastici dei castagni.
Chi pensa che per aver vigoria e resistenza siano necessari esercizi in palestra e masse muscolari straripanti, non ha mai visto un contadino al lavoro.
Quando avevo venti o trenta anni, ogni tanto andavo ad aiutare Bruno per la fienagione. Io ero alto un metro e ottantasei e pesavo poco meno di cento chili, lui era un palmo più basso di me e non credo che arrivasse ai settanta chili, ma a sollevare le balle di fieno e a sistemarle sul carro (erano quelle balle di una volta, a forma di parallelepipedo e a seconda di quanto si “tiravano” i bulloni dell’imballatrice pesavano dai venti ai venticinque chili) io gli stavo dietro per non più di quaranta minuti, poi iniziavo a sentire i bicipiti ululare e dovevo calare il ritmo, abbassare la cresta. Anche perché il lavoro si faceva sotto il sole arrabbiato di giugno o di luglio e a fine giornata dalla terra riarsa veniva su un un tale ardore da pensare che quell’erba rinsecchita potesse improvvisamente andare a fuoco.
Bruno era come una lucertola. L’ho visto tagliare fieno in ore nelle quali era sconsigliato perfino il solo uscire di casa. Bisogna provare a tenere una vecchia barra falciante su un terreno in pendenza per capire cosa sia la resistenza fisica. Lo capisci presto, non appena la macchina inizia a tirarti dove vuole lei e il diesel ti spara addosso ventate di aria bollente (non bastasse già il sole del primo pomeriggio). Per sovrapprezzo, arrivano immediatamente nugoli di tafani verdi, non quelli grigi settembrini; richiamati dallo scoppiettare del motore e più ancora da quell’unico, inaspettato movimento nell’immobilità di un intero prato, ti si posano dappertutto, preferibilmente sul volto, rigato dal sudore.
Anche in questo Bruno era particolare. Non l’ho mai visto sudare realmente. Piazzava una bottiglia di acqua appena macchiata di Dolcetto sotto una pianta, al fresco. La avvolgeva due o tre volte in quella carta spessa che hanno i sacchi di mangime per i bovini e bagnava abbondantemente il cartoccio così che la calura, prima di raggiungere la bevanda, doveva accanirsi sull’umidità dell’involto. Eppure, beveva raramente (e non so come facesse a resistere alla tentazione), perché diceva che se inizi a mandar giù acqua, tanta ne ingoi e tanta te ne viene fuori. Poi, piazzava sul capo un fazzoletto bagnato e su quello il suo solito cappellino di paglia logoro e riprendeva a faticare.
Nel corso degli anni, mi ha fatto da guida per molti dei lavori di campagna che sono sempre stati la mia passione. Era un contadino un po’ anomalo, perfino spregiudicato, per l’ambiente in cui era vissuto. Si informava sulle tecniche e sui i prodotti più innovativi e non era per nulla contrario alla modernità. Per esempio, non credeva all’influenza della Luna sui cicli delle piante.
– La Luna è per i “Signori” – diceva, scherzando, alla moglie che invece seguiva scrupolosamente il calendario delle fasi lunari quando c’era da piantare l’insalata o da potare una pianta.
– Come, “per i Signori”?
– Per chi ha tempo da perdere e quando ha finito con i semi di lattuga va a prendere il fresco sotto la pergola. Io, se fossi stato dietro alla Luna, sarei morto di fame da trent’anni.
Dopo cena, andavo alla cascina a comprare il latte della sua stalla e se non era troppo impegnato, stavamo a chiacchierare anche un’ora, al fresco delle prime ore della notte.
Bruno se n’è andato qualche anno fa, né vecchio né giovane. Il lavoro dei campi, alla fine, aveva logorato anche il suo fisico eccezionale. Come una vecchia falce, la sua schiena s’era incurvata e assottigliata e il tempo e la fatica l’avevano reso più fragile e sfinito. Da qualche anno era andato a vivere presso la casa di sua figlia e la cascina è rimasta lì, se non proprio abbandonata, almeno un pallido ricordo di quando ferveva dei rumori di trattori e imballatrici.
C****, che da due anni è rimasta vedova (perché quando la sfortuna vuole, sa come accanirsi davvero), ci va quando può, quando glielo consentono il lavoro e l’accudimento della mamma e di un figlio all’università.
Hanno conservato un bell’orto, dove Bruno, in fondo, trascorreva le ore meno faticose delle sue giornate e che ha una terra scura e friabile come mai mi è capitato di vedere.
Due settimane fa, sono andato ad aiutarla a preparare un bel rettangolo di terra dove seminare zucche e zucchini.
Abbiamo considerato l’ora e non c’era tempo che per organizzare il lavoro.
– Te lo preparo io, domani – le ho detto.
Non voleva. Ha scosso il capo, imbarazzata.
– Hai mille cosa da fare, anche tu – ha provato a resistere.
– Lo faccio volentieri, lo sai…
– No, non è giusto. Non se ne parla nemmeno.
Ho un po’ scherzato, sul fatto che si deve aver rispetto per le persone più anziane, che ti hanno visto nascere.
– Non voglio. Dimmi se devi perdere del tempo…
Tutto inutile. Non si può impedire ad una persona di salvare una parte importante dei propri ricordi.
Siamo andati a vedere sul retro della stalla, dove un cumulo di stallatico si è ormai trasformato in una terra finissima e nera come la pece.
– Bisogna tirare indietro un po’ le piante, – ha detto C**** – e poi si prende facilmente con una pala.
E nel dirlo, ha scostato con la zappa un po’ di quell’erba turgida e appiccicosa e ha portato allo scoperto il concime.
Ne è venuta fuori, immediatamente, la carta sbiadita di una caramella alla menta.
C**** ha sorriso, ma c’era solo malinconia, nel suo sguardo.
– Le mangiava Papà, – ha detto – per non sentire il sapore della polvere quando arava o imballava. Credeva che fosse semplice carta e che si decomponesse facilmente.
Ha preso il piccolo involucro e se lo è infilato in tasca, per metterlo nella differenziata.
– Quando ha capito che c’era anche della plastica, insieme, non le ha più gettate, ma se ne trovano ancora molte, qui nel cumulo.
Il giorno dopo, sono andato a vangare.
Attitudine appena sufficiente, magari, ma non tutti hanno avuto come maestro il massimo esperto della zona. Mentre sistemavo il concime nei solchi, ne sono venute fuori parecchie, di quelle carte di caramella. Ci ho pensato un po’, ma alla fine non ne ho tolto neppure una. Stanno lì sotto, nel rettangolo di terra dove sono stati piantati, anche quest’anno, zucche e zucchini, e dove Bruno ha passato le ore meno faticose del suo lavoro.

 

 

 

 

 

9 commenti su “Bruno IL contadino”

  1. Loana Boccaccini

    Bello..mi hai fatto rivivere un pezzo della mia infanzia vissuta in campagna. D’estate passavo gran parte del tempo presso una casa colonica tenuta da due fratelli contadini e le loro famiglie.. non la dimenticherò mai..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto