Due poesie capolavoro del nostro Novecento, due poeti della scuola cosiddetta “ermetica”. Due case battute dal vento: vento della natura, della storia dell’esistenza. Non credo che i due componimenti siano mai stati avvicinati, ma io intravedo un continuum che potrebbe legarli. Del resto si sa benissimo quanto Luzi, padre dell”ermetismo fiorentino, sia a suo modo discepolo di Montale, per antonomasia il poeta ermetico ligure a sua volta “figlio” di Sbarbaro.
“La casa dei doganieri” Eugenio Montale, 1932.
Tu non ricordi la casa dei doganieri
Sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
In cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
E vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
E il suono del tuo riso non è più lieto:
La bussola va impazzita all’avventura
E il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
La tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
La casa e in cima al tetto la banderuola
Affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta
Per ben tre volte nella lirica si ripete lo stesso incipit: “tu non ricordi”. Per due di queste l’oggetto è “la casa”.
Quale casa? Una casa di doganieri, solitaria, su una scogliera a strapiombo sul mare di Liguria. Mare spesso mosso, urlante coi suoi frangenti.
Questa casa è sola, dimenticata, quindi “desolata”.
Eppure “attende” una visita, un ricordo, una vita.
Un tempo ormai lontano aveva accolto “lo sciame” dei pensieri di qualcuno, l’inquietudine, la giovinezza di una lei, forse, o di un se stesso, poeta giovane.
Questa casa ha sentito “il suono del tuo riso”, che adesso non è più lieto.
Non tornano più i conti, è come se si è più orientamento: “la bussola va impazzita […] e il calcolo dei dadi più non torna”.
La casa sente solo il vento di libeccio sferzarla senza fine, frustare le sue vecchie mura.
Quel tempo è trascorso e la memoria ha abbandonato i luoghi della speranza della spensieratezza, delle risate e dei pensieri inquieti.
Ma resta un filo ancora che tiene: “un filo s’addipana”.
Il poeta ne tiene ancora un capo, la voglia di non perdere del tutto il senso delle cose, della casa. Ma anche nel suo ricordo la casa si allontana, e una banderuola sul tetto gira impazzita.
È sera ormai è non ci sono molte speranze di ritorno, di recupero. Quel tu non c’è nell’oscurità, è stato travolto dagli eventi, dalla spirale del tempo che impazzito fugge.
Come trovare un varco per uscire da questo sbattere del vento, da questo correre infinito del tempo?
Forse fissando per un attimo l’orizzonte dove si intravede una luce, quella di una petroliera. Ma le onde si infrangono inesorabilmente contro la scogliera e non si comprende più chi è rimasto e chi se n’è andato.
La storia ha travolto la vita, i ricordi, le risate. Una storia che sembra aver fatto impazzire chi c’era, perdere il senso.
Conosciamo bene la storia. Siamo nel 1930 quando Montale scrive questi versi avendo ben saldo un capo del filo nella sua mente, che tenace rimane fedele e sola a guardare l’oikos dei ricordi, del prima dei tristi eventi incontrollabili e distruttivi.
L’oikos è non solo la casa ma la famiglia, la solidità, la certezza. È il mondo dove si nasce e si cresce non solo logisticamente ma, in senso allargato, spiritualmente. È l’appartenenza. Ma qui la casa è di dogana, uno spartiacque tra passato e funesto presente. Restare o andare; essere fermi o volare col vento di una storia che distrugge. Il tu, o una parte di sé, non tornerà davanti alla casa.
“Nella casa di N. compagna d’infanzia” Mario Luzi, 1950.
Il vento è un aspro vento di quaresima,
Geme dentro le crepe, sotto gli usci,
sibila nelle stanze invase, e fugge;
Fuori lacera a brano a brano i nastri
delle stelle filanti, se qualcuna
impigliata nei fili flotta e vibra.
l’incalza, la rapisce nella briga.
Io sono qui, persona in una stanza,
uomo nel fondo di una casa, ascolto
lo stridere che fa la fiamma, il cuore
che accelera i suoi moti, siedo, attendo.
Tu dove sei? Sparita anche la traccia…
Se guardo qui la furia e se più oltre
l’erba, la povertà grigia dei monti.
Anche qui il vento “aspro”, tormentoso avvolge e penetra una casa piena di ricordi. Quasi creatura aliena “geme” dentro le crepe nelle ferite dell’esistenza, nell’invecchiare inesorabile di cose e persone. Vento di Quaresima, finito il carnevale, terminata la festa. Vento quasi punitivo, che si accanisce contro le restanti stelle filanti ancora appese e quasi le sbrana, le rapisce. Niente più gioia, sorrisi, infanzia. Se qualche nastro resiste, viene imbrigliato nella “briga” – termine dantesco – il vento inesorabile che sbatte furiosamente le anime degli amanti nel quinto canto dell’Inferno.
Ma qui il poeta è dentro l’oikos, è rimasto fermo ad aspettare e ascoltare. La casa è quella di un’amica d’infanzia, N.
Qualcuno è dunque rimasto a custodire un focolare pieno di ricordi di attesa.
Deve esserci un camino, e il suono stridulo della fiamma che arde. C’è ancora vita in questa casa, anche se tormentata dall’assenza dell’altra, di chi è andato via: “Tu dove sei? Sparita anche la traccia”.
Il vento ha trascinato tutto via, con la sua “furia”, che il poeta “guarda”. E fuori da quest’altra casa tormentata dal vento della vita, dal suo incalzare, rimane un paesaggio d’erba e una squallida visione di monti grigi.
Anche in Luzi come in Montale, la casa è il nucleo della memoria, è ciò che c’era e che è inesorabilmente cambiato.
Anche qui è il vento del divenire che sconquassa e lacera. Anche qui c’è un “tu” che se n’è andato e non sorride più dentro. Persone, parti di sé, è tutto possibile. Ma almeno qui si sa chi resta, resta il poeta.
un lavoro bellissimo, grazie Franca ❤