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Quirinale in controluce, Sostiene Scalfari

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Ricevimento al Quirinale

Chiedo scusa, ma sono costretto ad alterare l’ordine che avevo programmato con una noterella imprevista. Mi costringe la lettura dell’odierno editoriale di Eugenio Scalfari.

“La differenza tra la nostra idea di Presidente – scrive l’autorevolissimo giornalista – e quello che è avvenuto nel corso degli anni della Prima Repubblica, è notevole”. In tutti gli altri paesi europei il Capo dello Stato, monarca o eletto che sia, ha “prerogative puramente cerimoniali”; tranne la Russia, precisa Scalfari, dimenticando la Francia. In Italia, invece, le prerogative sono “sostanziali” in quanto prevedono la tutela della Costituzione e il coordinamento di un corretto rapporto fra i poteri costituzionali.

E’ giusto rilevare che i poteri del Presidente della Repubblica in Italia sono tutt’altro che formali; e consentono, anzi, incisivi interventi “sostanziali”, come ha dimostrato ampiamente proprio la presidenza Napolitano che si sta concludendo. Mi sembra invece un incomprensibile svarione la periodizzazione enunciata da Scalfari: “Dal 1947 fino al 1978 il Capo dello Stato non aveva alcun potere e alcuna prerogativa se non di tipo cerimoniale”. E’ superfluo ricordare che i poteri del Presidente indicati nella Costituzione non hanno subito alcuna modifica. Ma Scalfari non motiva la sua affermazione su base giuridica, bensì con un argomento storico-politico: “In concomitanza e a causa del rapimento e della uccisione di Moro si forma un passaggio fondamentale di cui sono protagonisti personaggi come Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano”.

Non capisco perché scompaia da questo elenco il nome di Cossiga. Soprattutto, però, mi sembra inaudito presentare il primo trentennio della vita repubblicana come periodo durante il quale i Presidenti si sono attenuti a funzioni cerimoniali. Non mi sembra possa rientrare in questo ambito l’incarico dato da Einaudi a Giuseppe Pella nel 1953, dopo le elezioni che bocciarono la “legge truffa” e dopo che il Parlamento negò la fiducia a De Gasperi. Quell’incarico non aveva alle spalle indicazioni di partito. Napolitano ha ricordato il lontano precedente con evidente allusione alla scelta da lui fatta con Mario Monti. Se questo sembra un episodio troppo raffinato, possiamo passare a Gronchi e Tambroni e al luglio ’60 che ne scaturì. Non riesco proprio – anche per avervi partecipato come “maglietta a strisce” – a pensare a quel moto antifascista come risposta a qualche comportamento “cerimoniale”, magari poco corretto.

Quattro anni dopo, il generale De Lorenzo, mise a punto il “piano Solo” che fece avvertire a Nenni un “tintinnar di sciabole”. Nell’estate del 1964 ci fu certamente, coordinata dal Quirinale, Presidente Segni, un’azione che umiliò e vanifico gli intenti riformatori dell’incipiente incontro Dc-Psi. Almeno quest’ultima vicenda, tutt’altro che “cerimoniale” Scalfari dovrebbe averla ben presente; il protagonista della ricostruzione e della denuncia di quel complotto, per la penna di Lino Jannuzzi, fu l’Espresso, settimanale da lui diretto. Ne scaturì un processo al giornale e ai giornalisti; nel 1968 Scalfari e Jannuzzi furono eletti in Parlamento nelle liste del Psi.

No, non mi sarei mai aspettato di leggere in un articolo a firma Eugenio Scalfari, quella frase: “Dal 1947 al 1978 il capo dello Stato non aveva alcun potere e alcuna prerogativa se non di tipo cerimoniale”. Ho sentito il bisogno di dirlo subito.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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