Trieste, un vecchio palazzo fatiscente e puzzolente – come lo definisce Kamla in apertura. In cui convivono gruppi disomogenei di extra comunitari: indiani, croati, turchi e cinesi. Leone, unico italiano nello stabile, li apostrofa tutti come “negri”. Ma il vecchio professore in pensione – di questo si tratta – è il primo a prendere le loro difese quando il proprietario, un arrogante e corrotto triestino, ingiunge loro di sgomberare la casa, pena l’intervento della polizia.
Con un andamento diseguale, numerose falle nella regia, sequenze bruscamente interrotte, molte ingenuità nei dialoghi, il lungometraggio di Gigi Roccati centra tuttavia alcuni ottimi obiettivi. Tra cui quello di raccontare con grazia il fenomeno dell’immigrazione e del melting pot nelle nostre città. Il rapporto tra l’anziano insegnante e Kamla (la ragazzina indiana che lui chiama Camilla) è il paradigma vincente di tutto il film. Senza alcuna retorica o buonismo, il regista racconta la loro delicata amicizia. Che passa attraverso le poesie di Ungaretti (M’illumino d’immenso) e una certa idea contro i soprusi, contro la guerra, contro i potenti che il vecchio pian piano instilla nella mente curiosa e ricettiva della bambina. Secondo obiettivo raggiunto è la narrazione realistica della convivenza tra gruppi etnici diversi tra loro, negli usi, nelle credenze religiose, persino nei cibi (turchi e indù non mangiano la carne di maiale). Non negando conflitti e differenze, Roccati indica un percorso di comune crescita, partendo dal nucleo femminile: Shanti – madre di Kamla – l’indiana prudente e sottomessa al marito che prega le sue divinità davanti all’altarino casalingo ma sogna di danzare come a Bollywood; la turca ex attrice di film porno che ha una bella voce; la croata, brusca e incazzosa che fa la badante ma è brava a cucire; la cinese madre di quattro figli che vorrebbe fare la parrucchiera. Sono loro le Babylon Sisters e da loro partirà una bozza di riscatto per le rispettive famiglie. Sullo sfondo la Trieste grigia e fumosa della zona industriale, che migliora nelle immagini in Riva – come se dise in dialetto. Da segnalare, nel ruolo di Leone, la straordinaria interpretazione di Renato Carpentieri – che ricordiamo nel recente La tenerezza – e la bravura della piccola Amber Dutta.
Un piccolo film imperfetto, in cui piangi, ridi e fai il tifo per quella babele di etnie colorate e chiassose. Che riescono però a costruire un’alternativa armoniosa in tempi di egoismi e intolleranze.
Etnie Immigrazione Intolleranza
Babylon Sisters
Babylon Sisters di Gigi Roccati, Italia-Croazia 2017