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Racconti Storia

LA GUERRA DEI 6 GIORNI

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Moshé Dayan e Ariel Sharon

Moshé Dayan e Ariel Sharon

[un ricordo personale]  Alle 7.45 della mattina del 5 giugno 1967 gli Allievi Ufficiali di Fanteria del 47^ Corso, dentro la Caserma Pico, si stavano preparando per le esercitazioni a Torre Veneri, a pochi chilometri da Lecce. Nello stesso momento l’aviazione israeliana bombardava a sorpresa le basi aeree di Egitto, Siria e Giordania.
Adunata! Il comandante è di fronte alla Compagnia schierata. Solo poche parole per descrivere quello che sta succedendo sull’altro, lontano campo di battaglia. Poi con un piglio indimenticabile tipo “l’ora delle decisioni irrevocabili” pronunciò: «I militari presenti in caserma sono consegnati sino a nuovo ordine. Esercitazioni esterne, libera uscita, permessi e licenze di ogni tipo sono sospesi. Rompete le righe!»
Una radio a transistor gracchiava notizie. In realtà i superiori avevano ricevuto ordini, che stavano facendo rispettare, senza avere un’idea precisa su ciò che stava accadendo o sarebbe potuto accadere. Era chiaro solo che l’Esercito Italiano era parte delle forze NATO e quindi in allerta. Un plotone, più fortunato di altri, aveva un comandante romano che, una telefonata ad amici della capitale, si esibì nel racconto dettagliato delle poche ore di combattimento. Irrefrenabile il suo entusiasmo nel descrivere le gesta di un certo generale Moshe Dayan, il comandante dell’esercito israeliano che aveva architettato e condotto il blitz. In poche mosse aveva azzerato l’iniziale vantaggio delle forze aeree arabe, poi alla testa di colonne di carri armati stava prendendo il possesso dei territori nemici. Era già un idolo. La benda nera, che gli copriva un occhio perso in battaglia, faceva il resto. Il racconto del tenente romano diventò sinossi: si era procurato una carta geografica, mostrava che “lui sapeva di cosa stesse parlando, che avrebbe saputo come comportarsi e gli allievi, ai suoi ordini, avrebbero fatto una bella figura”. In realtà poteva dire quello che voleva: nella camerata c’era silenzio e anche sgomento. Gli allievi pensavano alle fidanzate, ai genitori, ma prima di tutti alle mamme, che chissà come avrebbero reagito a queste notizie, loro che una radio ce l’avevano. I papà li pensavano meno sorpresi, la maggior parte una guerra l’aveva vista da vicino. Ma poi, loro, erano in guerra? Sì e no, ma bisognava tenersi pronti e con le armi pulite alla perfezione. I grafomani, ispirati dai momenti, tipo Addio alle Armi, scrissero lettere, caso mai li avessero fatti partire davvero. Quando la fulminea operazione militare, che sarà ricordata come la “guerra dei sei giorni”, terminò, il 10 giugno del 1967, fu chiaro che Israele non aveva alcuna intenzione di ritirarsi dai territori occupati. Il suo esercito aveva conquistato le alture del Golan, la striscia di Gaza, la penisola del Sinai e Gerusalemme Est. Gli Allievi del 47^ Corso AUC – qualche giorno prima – avevano già riconquistato il diritto ad andare in libera uscita.
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ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

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