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La grande invasione di Wembley

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Non è la prima finale di Champions “monocolore”, fra due squadre della stessa nazione. Per la precisione, è la quarta. C’è stata la finale spagnola (Real-Valencia nel 2000), quella italiana (Milan-Juventus nel 2003), quella britannica (ManchesterU-Chelsea nel 2008).
Non sorprende, dunque, che quest’anno tocchi ai tedeschi: Borussia Dortmund-Bayern Monaco. Non è qui l’eccezionalità dell’evento. Non è inedita neppure l’ospitalità inglese; nel 2003 il match italiano si svolse nella cornice dell’Old Trafford, lo stadio di Manchester carico di gloria e di storia.
La finale tedesca si svolgerà però a Wembley, culla del calcio come Westminster lo è del Parlamento. Una congiuntura unica, che non si ripeterà più, potete giurarci. La febbre cresce, le spedizioni si moltiplicano. Non è solo il tifo della Ruhr e della Baviera; è l’orgoglio dell’intera Germania che si compiace della sua forza e si esalta per la cornice nella quale la esibirà. Lì, in quello stadio dall’antico e nobilissimo nome, rifatto per le Olimpiadi del 2012, racchiuso dall’enorme arco di acciaio alto 133 metri e lungo 315. Quando mai si potrà vedere qui – non a Mosca come nel 2008 – una finale monocolore inglese? Allora sì sarebbe pienamente soddisfatto l’orgoglio britannico! Adesso, però, i protagonisti sono altri, i più forti del continente.
«Una grande invasione su vastissima scala viene preparata contro quest’isola con tutta la consueta meticolosità dei tedeschi… È un periodo particolarmente importante della nostra storia. È paragonabile ai giorni in cui l’Armada spagnola si avvicinava alla Manica e Drake stava terminando la sua partita a bocce; o ai giorni in cui Nelson si eresse tra noi e la Grande Armata di Napoleone a Boulogne. Abbiamo letto tutto ciò nei libri di storia, ma quanto avviene ora è di proporzioni di gran lunga maggiori e infinitamente più importante per la vita e l’avvenire del mondo e della sua civiltà, che non in quegli eroici tempi antichi». Parole di Churchill; le trasmise la radio l’11 settembre 1940.
L’invasione allora vittoriosamente impedita avviene oggi grazie al football, un’altra invenzione inglese! L’unica consolazione per il buon Winnie sarà che tutti quei crucchi che sbarcano sono fieramente avversi gli uni agli altri. Urleranno di tutto, canteranno di tutto, ma non si sentirà il coro minaccioso “Deutschland deutschland über alles”.
Che la partita cominci. Vogliamo godercela anche noi questa sinfonia tutta tedesca suonata nel grande teatro di Wembley.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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