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Cinema Recensioni

La zona d’interesse

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Nella sala si spengono le luci: inizia il film. Ma lo schermo resta nero, un guasto forse. Poi arriva un suono, disturbante, e infine si percepiscono lontani dei cinguettii e la luce si fa piena: la scena è agreste, bucolica. Un gruppo di persone, adulti e bambini di ogni età – anche un bebè che strilla – fanno picnic su un prato che si affaccia su un laghetto: alcuni si buttano, si spruzzano, giocano, un uomo li osserva benevolo nel suo costume ascellare, i capelli rasati con solo un’aureola intorno al cranio. La donna che sembra essere la madre della nidiata va avanti nella boscaglia col piccolo in braccio, osserva i fiori, li fa annusare al baby, gli mostra commossa le coccinelle che si arrampicano sulle foglie.
Comincia così il nuovo film di Jonathan Glazer, dopo dieci anni di assenza: La zona d’interesse, che ha vinto praticamente tutto e che ha ottenuto 5 candidature agli Oscar. Il titolo si riferisce al nome dato ai tempi del Reich della “soluzione finale” al campo di Auschwitz e racconta la vita, vera, di Rudolf Höss, all’epoca direttore del lager. La casa che riunisce la famigliola felice è attigua al campo, ma la sua enorme sagoma non si vede mai, possiamo solo percepirne la presenza attraverso i rumori sinistri che arrivano: grida confuse, latrati furiosi di cani, urla perentorie nonché fumo incessante dalle ciminiere.
All’interno delle mura domestiche tutto fila alla perfezione – a parte lo sguardo basso e impaurito di alcune domestiche – la padrona di casa Hedwig prende il the con le amiche, indossa una pelliccia di visone sottratta a una prigioniera ebrea, ride e scherza col marito; i bambini giocano con i denti strappati ai detenuti. Ciò che tutti sanno non si dice, anche i gerarchi parlano tra loro di “pezzi”, migliaia di pezzi provenienti dall’Ungheria. E immaginare quelle scene atroci di disperazione e di morte, di orrore e di sterminio, è ancora più straziante che vederle.
Tratto dal libro di Martin Amis, il film di Glazer è gelido e straniante, si esce dalla sala come automi che hanno perso il filo della storia. E della speranza, visti i tempi che ancora ci toccano in sorte. Nell’interpretazione della moglie, la straordinaria Sandra Hüller, ancora più perfida del marito, il bravo Christian Friedel.

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COSTANZA FIRRAO

Nata a Bari nel 1953, è sposata e ha due figli. Vive a Milano dal 1990. Collabora negli anni ’90 alle pagine culturali di alcuni quotidiani locali ed è stata traduttrice dal francese per riviste bilingue. Ha curato vari siti e blog. E' appassionata di cinema e letteratura.

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2 Commenti

  1. Giovanna 24 Febbraio 2024

    un film da non perdere

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  2. Daniela Marchetti 26 Febbraio 2024

    Non si può commentare, solo vedere e ascoltare i dialoghi. Non è però un racconto di uno scrittore che descrive orrori immaginati, è la perfida realtà che non si può cancellare.

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