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LE VACANZE DELLA BAMBINA

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La bambina ha uno sguardo rassegnato. E’ tempo di vacanze. E’ tempo di follia.
Già normalmente casa sua è abitata non da persone ma da cartoni animati, che cambiano di continuo i tratti dei volti e li segnano in smorfie dolorose. Di rado le labbra si distendono in un sorriso, le mani che gesticolano nervose si protendono carezzevoli, le parole rancorose diventano favole che aiutano a dormire, a sognare. Quando succede è una festa. Quando succede, di solito, è perché la bambina sta male. Ora è estate. Bisogna mettersi in viaggio.
Nessuno ne ha voglia. Ma si deve andare in vacanza, tutte le famiglie lo fanno. La meta è sempre la stessa: una pensione familiare con pretese da hotel, in una località termale per pensionati con pretese mondane. Vanno da anni lì: ormai li conoscono, non fanno tante domande, le conversazioni sono rassicuranti, il cibo è genuino e senza tante storie.
Le giornate sono uguali: lunga passeggiata fino alle terme, sorsate amare alle fonti con i boccali di vetro spesso (anche la bambina ne ha uno, piccino e fragile), la mezz’ora di libertà (della bambina – lasciata ad ascoltare l’orchestra dello stabilimento termale che si esibisce nel repertorio delle operette ), abbondante colazione, passeggiata davanti alle vetrine (acquisti quotidiani di cianfrusaglie), aperitivo, pranzo, riposino pomeridiano, passeggiata fino al parco dove è vietato giocare, seconda missione giornaliera nei negozi, secondo aperitivo, quotidiana fuga davanti ai fotografi del corso (solo una foto a stagione: i visi invecchiano, la bimba cresce, l’infelicità è stazionaria), cena, dopocena sotto il pergolato dell’albergo, chiacchiere poco impegnative con gli altri anziani ospiti – argomento principe: la guerra – e poi a nanna, in attesa di ripetere l’indomani gli stessi gesti, le identiche parole.
“Si parta, dunque, ma ci si sbrighi”, pensa la bambina, che finge di essere un portaombrelli, un cane di ceramica, la cuccia del cane vero che, come lei, si mette in un angolo e insieme a lei osserva e ascolta gli umani adulti. A volte va peggio, come l’estate scorsa, quando c’era stata una di quelle spaventose litigate in cui venivano pronunciate parole incomprensibili, sibilati nomi sconosciuti, rinfacciati episodi. Lei era eccitata e atterrita, curiosa di capire il motivo di tanto rancore, di tanta sofferenza, e però sconvolta dalla violenza di quegli adulti che sembravano vivere dell’odio che, spesso represso, ogni tanto esplodeva incontenibile.

“Dunque partiamo”, si tranquillizza la bambina. L’autista del taxi li conosce: è sempre lui che li accompagna e poi li va a riprendere. Si esce in fretta dalla città e si imbocca l’autostrada. Alla bambina piace l’autostrada, piace guardare oltre i guardrail e sognare, ma il solito mal d’auto comincia a tormentarla, anche perché si è dimenticato di darle la pillolina miracolosa. Ripartono le reciproche accuse di responsabilità, la bambina ha già vomitato e ora respira nel fazzoletto imbibito di acqua di colonia della nonna. Si decide una sosta per pulire la macchina e permettere alla piccola di riprendersi. Miracolosamente, nella borsa della mamma c’è una scatolina di Valontan e il viaggio può riprendere. Ora la bambina si rattrappisce nell’angolo estremo della vettura e finge di dormire. In realtà, anche se intorpidita, osserva le strade e i campi, le case e la gente, gli animali e gli alberi e tutto quello che attraversa veloce il suo sguardo e si sedimenta per sempre nella sua mente. La bambina immagina di scappare dalla lunga macchina scura e di arrampicarsi sui monti verdi che corrono ai lati dell’autostrada. Sa, con incrollabile certezza, che lassù sarebbe felice, lontana dalle urla, dalle lacrime, dalle vecchie signore dell’albergo che, di nascosto dai suoi, le faranno le domande proibite a cui le è stato detto di non rispondere mai, o mentire. Così la bambina, simula il sonno che la porta via e sogna foreste vergini, ruscelli freschissimi, una casa sull’albero, un cane-scimmia che parli con lei, mentre il taxi, inesorabile, la sta portando verso quella vacanza, che vacanza non è.

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AGLAJA

Aglaja è una disegnatrice grafica, illustratrice, pittrice e vignettista con il vizio della scrittura, che si cela nei panni di Gabriella Corbo, insegnante di lettere. Per undici anni (dal 2003 al 2014) ha illustrato e disegnato vignette su blog e sito dello scrittore e giornalista Enzo Costa, sui suoi blog d’autore di Repubblica.it (dove ha tradotto in immagini i “Lanternini” di Enzo e ha tenuto una propria rubrica di vignette, “Domenicaglaja”) e dell’Unità.it (“Malumorismi”). Ha illustrato i libri “Rime Bacate”(Editori Riuniti), "Col senno di prima" (Editori Internazionali Riuniti), "Cercati col Lanternino" (Red@zione), tutti di Enzo Costa. Sempre con Enzo, ha partecipato al Festival Internazionale di Poesia di Genova 2012, con la proiezione di sue vignette che illustravano le rime dell’autore. Nel frattempo, diverse sue immagini “serie” cominciavano a essere esposte in mostre tematiche. Nel 2010 ha vinto il primo premio al concorso nazionale Sapete come mi trattano?, indetto dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), per la categoria vignette, premio attribuitole dal Comitato d’onore, composto da esponenti di spicco del mondo della cultura (tra cui, per le vignette, Massimo Bucchi di Repubblica) e del movimento per i diritti delle persone con disabilità. Aglaja ha esposto le sue vignette, illustrazioni ed immagini, con i testi di Enzo Costa, nella mostra “Figuriamoci”, allestita al Muvita dal teatro Sipario Strappato di Arenzano (Genova), e nella mostra “Tra il dire e il disegnare c’è di mezzo il mare”, al Museoteatro della Commenda di Prè (Genova), una summa dei lavori della “ditta” EnzoCosta&Aglaja, sul tema del mare e dell’accoglienza, con divagazioni satirico-oniriche: è stata l’ultima, felice, occasione che ha visto insieme i “soci” Aglaja ed Enzo, mancato pochi giorni dopo l’inaugurazione. Dopo la scomparsa di Enzo Costa, Aglaja ha cessato la sua attività di vignettista satirica (salvo concedersi qualche “strappo”), preferendo dedicarsi alla pittura digitale, in cui fa vivere il suo mondo surreale. Ancora alla Commenda di Prè, Aglaja ha così inaugurato nel 2015 la sua prima personale su tela: “Come è profondo il mare”, gli abissi immaginari di una viaggiatrice statica. Del 2017 è il progetto “Scrittori liguri”, partito dall’idea di inventare ritratti impossibili di 19 grandi scrittori della Liguria partendo dalle loro parole. Il progetto si è concretizzato in un evento, “Equinozio delle Arti”, a Palazzo Tursi, e in una personale nel corso del Festival della Poesia di Genova, a Palazzo Ducale. Nel settembre dello stesso anno, si è inaugurata una nuova mostra al Museo del Mare di Genova dal titolo Fondali immaginari, dove le foto subacquee del fotogiornalista Adriano Penco sono state rivisitate dalla fantasia di Aglaja e dai suoi disegni surreali. Nel 2018 quattro opere di Aglaja su tela hanno fatto parte di Mosaic, a cura di Art Commission, un’installazione collettiva itinerante (in Italia e all’estero) a tema libero, che prende vita e forma assemblando i lavori degli artisti partecipanti. Ultimamente, Aglaja ha iniziato a sperimentare la serigrafia: i suoi disegni ora sono serigrafati su piastrelle, una tecnica che restituisce come non mai la luce e la brillantezza dei colori, così come sono preparati graficamente per lo schermo. Cura l’archivio dei lavori del suo socio, ne pubblica illustrandoli – sulle sue pagine social e su La Rivista Intelligente – brani e poesie inedite. Ha raccolto le poesie intimiste di Enzo Costa, uscite nel dicembre 2017 per Rayuela Editore, con un ritratto dell’Autore disegnato da Aglaja in copertina. Nel 2020 un suo disegno è stato scelto come copertina della raccolta di liriche "Poesie del Risveglio" di Simona Garbarino, ZONA Contemporanea 2020. Continua ad essere una prof. resistente e una disegnatrice/scrittrice impenitente. E viceversa.

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