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L'anfiteatro di El Djem in Tunisia

C’è stato un tempo diverso. C’è stato e non è così lontano come oggi ci sembra. Ricordo un viaggio, in Tunisia, negli anni ’80. Non c’era ombra di pericolo nell’aria, che turbasse anche vagamente il fascino di quella vacanza. Tunisi era bella e profumata di tè alla menta, Sidi Bou Said era una quinta teatrale perfetta per noi turisti in vena di sogni orientali a un’ora di volo da Roma. Noi, inguaribili nostalgici di casa, intraprendemmo perfino un piccolo viaggio nel deserto per vederci comparire davanti, dopo un rettilineo infinito, la sagoma familiare di un altro Colosseo, quello sbalorditivo di El Djem.
D’altra parte avevamo visto decine e decine di film in cui i mercati maghrebini, o egiziani, erano meravigliose scenografie sfavillanti di colori e di confusione, dove al massimo poteva sbucare un cattivo armato di coltello; ma poi, magari, si rivelava una spia occidentale col viso colorato di nero. Ed erano davvero così quei mercati, quelle piazze, anche nella realtà.
E poi, una ventina d’anni dopo, di nuovo in viaggio, sul Nilo a vedere se la Sfinge, le piramidi e i templi di Luxor e Abu Simbel erano davvero come avevamo imparato a scuola, o visto nei fumetti. Tutto tranquillo, tutto come s’immaginava, tranne appena un senso d’inquietudine davanti al palazzo monumentale della regina Hatshepsut. Chè proprio lì, un mesetto prima, sessanta poveri tedeschi in vacanza li avevano falciati i terroristi, a colpi di mitraglia, sbucando dalle alture come a Portella della Ginestra.
Tutto ciò che per secoli si pensava non dovesse mai accadere, è successo in quest’ultimo decennio.
L’Africa si è stancata di essere povera, di essere il bel palcoscenico di viaggi, safari e crociere per turisti. Prima c’erano solo i ricchi, in tenuta coloniale rigorosamente bianca, come nei gialli di Hercule Poirot e Agatha Christie. Poi siamo arrivati noi e in jeans e magliette colorate abbiamo invaso Il Cairo, Marrakesh, Hammamet e giù, giù, Sharm el Sheik e Malindi.
Non siamo spariti completamente, per la verità, ma adesso ci aggiriamo con molta circospezione per quei luoghi favolosi.
L’Africa sta sbarcando da noi, è il loro turno. Ma non è un viaggio di piacere, è una fuga dalla fame, dalla povertà, a volte dall’orrore della guerra. La mia generazione non ha vissuto gli anni delle colonie, ha creduto semplicemente, da giovane, che le meraviglie d’Oriente fossero lì per regalare al nostro mondo spensierato l’illusione di una vacanza esotica, diversa. Oggi quella generazione assiste a un cambiamento così epocale da non riuscire ancora a rendersene ben conto.
Il terzo mondo ha calato brutalmente sul tavolo carte diverse, sconvolgenti. Il sogno dell’amore universale, così affascinante quando ognuno giocava il ruolo, la parte che l’occidente trionfante aveva assegnato a tutti gli attori del mondo, si sta sgretolando in mille nazionalismi torvi, atterriti dall’invasione aliena.
Mi piacerebbe concludere questo articolo con una previsione anche vaga su ciò che accadrà nel prossimo futuro. Ma proprio non posso.

Doris Day e James Stewart in "L'uomo che sapeva troppo" di Alfred Hitchcock (1956)

Doris Day e James Stewart in “L’uomo che sapeva troppo” di Alfred Hitchcock (1956)

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