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Racconti

Un parto difficile. Racconto di Natale

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La piccola scuola elementare delle monache tedesche traboccava, già da varie settimane, di spirito natalizio. Tutti gli argomenti didattici erano accantonati e dalle classi piene di bambini in grembiulino bianco si sentivano uscire cori angelici, sapientemente orchestrati da suore, loro rigorosamente in nero, in grado di far cantare “O Tannenbaum” a decine di cuccioli italiani che nemmeno si chiedevano quali parole stessero, angelicamente, gridando a squarciagola in una lingua incomprensibile.
Madre Gertrud però aveva uno spiccato senso del dovere, e non riteneva che la festività imminente, pur cruciale per la religione cattolica, togliesse l’intero spazio alla missione che la sua scuola le aveva affidato: educare, insegnare, istruire dei bambini.
Così, tra un inno e l’altro, in terza C si continuava a fare grammatica.
Ma, suore o no, tedesche o no, sempre di bambini in vista di vacanze natalizie si trattava. E dunque, era d’obbligo addolcire la fatica dello studio con un diversivo allegro: la gara delle voci verbali.
“Passato prossimo di avere?” Foresta di braccia alzate, trenta bambini pronti a gridare la risposta esatta e salire, di conseguenza, un gradino nella ambita considerazione di madre Gertrud.
I più bravi già si distinguevano, era sempre la mano dei soliti tre o quattro a scattare in aria per prima, conquistando il diritto a trionfare. Ma la gara era organizzata con cura teutonica e la difficoltà delle domande, senza dare tanto nell’occhio, cresceva col passare dei minuti.
C’era un bambino che tutti sapevano essere destinato alla vittoria. Non solo oggi, non nella gara dei verbi, ma negli anni a venire, nella vita intera che si intuiva per lui essere una lunga cavalcata di successi. Si chiamava Pierluigi Santaniello e aveva il physique du rôle del vincitore: sorriso smagliante, piglio sicuro, occhiali precoci che però non guastavano l’insieme brillante, anzi, ne esaltavano fin da ora l’ineluttabile futuro da prestigioso accademico, serio ma illuminato, rigoroso ma aperto alla modernità.
“E ora, bambini, la domanda finale. La domanda che riguarda più da vicino il Bambinello, Nostro Signore, nel giorno, ormai vicinissimo, che ci apprestiamo tutti a festeggiare tutti davanti al santo presepe. Passato remoto di nascere, terza persona!”
Perplessità in aula. Poche braccia si alzano, più che altro outsider in cerca del finale a sorpresa, il colpaccio che potesse rimettere in piedi un risultato ormai compromesso.
“Nasse?” “Era nato?” Si sentì addirittura un “aveva nato” che suscitò nella maggioranza un brivido di sconforto infantile.
Santaniello stavolta si era preso il tempo di riflettere. Passata la raffica degli strafalcioni, la sua mano si alzò sicura, al momento giusto per chiudere il conto in modo definitivo. Il copione si stava concludendo nel modo che già tutti i piccoli presenti conoscevano dall’inizio, con la deposizione dell’alloro sulla testolina del predestinato.
“Nascè!” declamò Santaniello a voce chiara e volume sostenuto.
Silenzio. Sconcerto generale. Bambini indecisi tra la delusione e il sottile, inconfessabile piacere di vedere forse, ancora non si sa, la sconfitta impensabile del favorito.
Non dimenticherò mai lo smarrimento negli occhi, freddi e azzurrissimi di madre Gertrud, costretta a constatare che aveva fallito il suo compito, che nessuno dei suoi piccoli allievi era stato in grado di azzeccare la risposta giusta.
Ma state tranquilli, quell’anno Gesù Bambino nacque lo stesso. All’insaputa di tutti.

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