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1989 Duverger e il Pci di Occhetto

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Maurice Duverger

E’ morto a 97 anni, Maurice Duverger. Una lunga splendida vita, la sua; ricca di esperienze, di scoperte, di relazioni; di entusiasmo e di pensiero. Duverger è stato uno dei più eminenti studiosi e intellettuali del secolo. Il suo campo di studio e di conoscenze è quello del giurista e del politologo; della politologia si può considerare addirittura un padre fondatore. Oggetto della sua attenzione, del suo interesse, sono stati soprattutto i partiti politici e i sistemi elettorali. Nessuno, ancora oggi e – credo – ancora per un lungo periodo potrà affrontare questi argomenti senza prendere le mosse da quel che lui ha scritto e detto. “I partiti politici”, la sua opera più nota, è del 1951 quando aveva 34 anni; ma mantiene intatta la sua stimolante vitalità.

La passione politica lo ha sempre animato, e non solo a causa dei suoi studi. Fu resistente. Cattolico, si sottrasse al richiamo del Mrp, il partito democristiano della quarta repubblica francese, e si legò al Club Jean Moulin. Scriveva su Le Monde. Da grande costituzionalista qual era comprese fra i primi quanto sia importante per la democrazia (e per i partiti che in essa vivono) la capacità di decidere e di governare. Non fu gollista ma comprese le ragioni che spingevano alla quinta repubblica, con la quale si conciliò completamente quando, nel 1981 entrò all’Eliseo il socialista Mitterrand, di cui fu ascoltato e prezioso consigliere.

Duverger, ovviamente, non fu mai comunista; del comunismo fu critico severo e senza tentennamenti, anche se non cancellò certo il comunismo dall’ambito dei suoi interessi scientifici. E tuttavia, quest’uomo, questo intellettuale, questo scienziato della politica una sola volta è stato eletto in un’assemblea parlamentare. E’ avvenuto nel 1989, quando accettò la candidatura del Pci (sì, avete letto bene: Partito comunista italiano) al Parlamento europeo. Fu, ovviamente, eletto; a tutt’oggi è il solo non italiano eletto dal nostro Paese al Parlamento di Strasburgo; un onore per l’Italia. Ma un onore, soprattutto, per il Pci; che, allora, era il “Pci di Occhetto”, segretario da appena un anno. Ricorre quest’anno il venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, nel novembre del 1989. Le elezioni europee, però, si tennero qualche mese prima, a giugno di quell’anno, quando la “svolta della Bolognina” era in mente dei. Eppure una personalità autorevole e influente come Duverger, con la saggezza dei suoi 72 anni, non trovò difficoltà ad accettare la candidatura che gli veniva offerta dal Pci, da coloro che allora lo dirigevano. Il suo SI’ non fu un caso: era il consapevole incoraggiamento al tentativo di rinnovare quel grande partito della sinistra europea che egli seguiva e apprezzava.

Lo conobbi e lo frequentai in quelle circostanze. Mi abbeverai al suo ésprit e alla sua clarté; mi emozionai per l’allegra curiosità con cui scopriva ed esplorava la ricchezza della nostra organizzazione, la complessità dei nostri problemi, la determinazione – forse ai suoi occhi un po’ ingenua – con cui cercavamo di risolverli. Alle prese con la cucina italiana, manifestava con gioia tutto il suo gradimento. Un giorno, mentre sedevamo a tavola, gli chiesi: “ça va messieur le professeur?” Rispose con il suo sorriso ironico, un po’ obliquo; “Oui, ça va. Toujours, ça va”.

PS = Devo introdurre una parziale correzione. C’è stato un altro “non italiano” eletto in Italia al Parlamento Europeo: Jiri Pelikan, già direttore della TV cecoslovacca, interprete di primo piano della “Primavera di Praga” e successivamente esiliato in Italia. Nel 1979 fu eletto a Strasburgo nelle liste del PSI. Lui, però, aveva ottenuto due anni prima la cittadinanza italiana. Per essere preciso avrei dunque dovuto scrivere che Duverger è stato l’unico parlamentare europeo eletto in Italia senza avere la cittadinanza italiana. Questa doverosa precisazione è, comunque, una preziosa occasione per rivolgere un omaggio anche a Pelikan.

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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