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Aiutiamo Marguerite la matta di Ruyigi

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Marguerite Barankitse

 

Marguerite Barankitse è una tutsi del Burundi, altissima, bella, allegra, spiritosa, con una solida fede e un’eccezionale vitalità organizzata.

In Burundi la chiamano Crazy Maggie, “forse sono matta”, dice Marguerite, “ma so cosa è giusto fare e faccio quello che posso, con altri matti come me. Ho sempre amato la canzone “Imagine” di John Lennon, immaginare, e agire. Da quando ero bambina volevo migliorare il mondo, correggere le sue innumerevoli storture”.

Nell’autunno del 1993 scoppia in Burundi la guerra civile. Viene ucciso il primo presidente eletto democraticamente, Melchior N’Ndadaye, che è anche il primo presidente hutu nella storia del Paese. Dopo l’assassinio gli Hutu, che rappresentano l’84 della popolazione, si vendicano dando la caccia ai loro vicini Tutsi, il conflitto provocherà 300.000 morti.

Maguy ha 36 anni quando scoppia la guerra e vive a Ruyigi, nel sud est del Paese, non lontana dalla frontiera con la Tanzania, dove si concentrano gli Hutu in rivolta. Non è sposata ma ha adottato sette bambini orfani Hutu e Tutsi, attirandosi l’odio di entrambi i gruppi etnici. Con loro si rifugia nella diocesi, dove lavora come segretaria del vescovo di Ruyigi.

Il 24 ottobre 1993 un manipolo di Tutsi armati di machete irrompe nell’edificio. Maguy ha appena il tempo di nascondere i bambini nella sacrestia, intimando loro il silenzio assoluto, prima di provare a parlare agli assalitori :

“Anche se ci fossero qui delle persone che hanno ucciso, voi non potete uccidere a vostra volta i vostri fratelli, come Caino. Io non vi darò le chiavi”. Gli uomini la spogliano, la legano a una sedia e appiccano fuoco all’edificio per costringere gli Hutu che vi nascondono a uscire. Ad una ad una le persone nascoste escono allo scoperto e vengono uccise sotto gli occhi di Maguy, settantadue persone in poche ore. La sua vita viene risparmiata perché la credono una suora, quella dei figli degli uccisi barattata da lei con denaro e viveri. Tra i bambini sopravvissuti ci sono Lisette e Lydia, le figlie di Juliette, un’amica d’infanzia di Maguy, una tutsi sposata a un hutu che viene decapitata col marito. In segno di disprezzo, mentre Maguy conforta le due bambine che hanno visto tutto, gli assassini appoggiano la testa mozzata di Juliette sulle sue ginocchia.

Maguy scappa con i trentadue bambini, tra vecchi e nuovi orfani. Si ripara in un cimitero, poi ospite di un amico cooperante tedesco, infine in una vecchia scuola abbandonata prestatale dalla diocesi.

maison_shalom

Nel maggio del 1994 nasce Maison Shalom, negli intenti di Maguy, un luogo dove far crescere una nuova generazione che saprà interrompere il circolo vizioso della violenza e illuminare le tenebre in cui è immerso il Paese. Il nome lo scelgono i bambini che alla Radio Nationale, la sola che diffonde nel Paese, sentono sempre i canti religiosi dove si evoca la pace.

Presto si sparge la voce che “una matta di Ruyigi” accoglie tutti gli orfani che bussano alla sua porta senza fare distinzioni fra Twa, Hutu, Tutsi .

Maison Shalom non è un orfanatrofio, ma un vivaio di speranza, dove si impara ad elaborare il lutto, a dialogare tra gruppi etnici, età e ceti sociali diversi, a perdonare, ad aiutarsi e a conquistare la propria autonomia.

Di ogni orfano Maguy cerca di ritrovare il villaggio e i parenti sopravvissuti. Per lasciare loro la speranza di potere un giorno tornare, una volta trovati parenti o vicini di casa dei bambini, Maguy finanzia loro l’acquisto di semi e attrezzi perché lavorino la terra ereditata dagli orfani. A chi non ha niente Maguy regala le sue terre su cui in pochi mesi vengono costruite più di 80 case, ognuna assegnata a una famiglia ricostituita di bambini e ragazzi accompagnati da figure di educatori e psicologi che condividono la nuova vita familiare, il lavoro nei campi, la scuola e il tempo libero.

Da allora i bambini accolti e raccolti da Maison Shalom sono stati oltre ventimila: bambini malati di aids, feriti, violentati, bambini soldato e di strada. Alcune decine sono oggi laureati o studiano all’Università in Burundi, moltissimi sono diventati i più stretti collaboratori di Maguy.

Oltre alla scuola sono state create una trentina di cooperative agricole e artigianali che danno lavoro ai ragazzi, una guest house, una piscina, un cinema, un teatro, una biblioteca, una sala informatica, un parrucchiere e un salone di bellezza.

Nel 2010 Maguy ha inaugurato l’ospedale Rama, il più attrezzato del Paese per maternità e pediatria, con medici stranieri che formano medici locali, una scuola per personale paramedico e attrezzature avanzate donate dai tanti “amici della Maison Shalom” sparsi nel mondo.

Eppure questo immenso lavoro che ha del miracoloso è ora in pericolo. Dallo scorso maggio, il presidente Pierre Nkurunziza, deciso a imporre un terzo mandato dopo la scadenza del secondo, ha arruolato una milizia di cinquemila giovani che tortura, mutila e uccide tutti coloro che non sono d’accordo.

Maguy non si è mai trattenuta dal dire quello che pensa ai politici e agli alti prelati del suo Paese (viaggia spesso e in aereo incontra i ministri e i vescovi in business class, lo champagne in mano, e sulla valigia un’etichetta che dice che stanno andando a un convegno sull’eliminazione della povertà in Africa.)

Questa volta ha manifestato in piazza con i giovani e le donne che si sono sdraiate in segno di protesta contro Nkurunziza: “abbiamo il diritto di dire a chi vuole ancora che il Burundi precipiti nella guerra: adesso è troppo! ”

Qualche giorno dopo ha ricevuto un mandato di cattura e ora è rifugiata con altre migliaia di burundesi nel vicino Rwanda. L’infaticabile Maguy adesso è in viaggio in Europa e in Canada per stimolare la diaspora burundese a reagire e intervenire nel Paese.

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