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Kramer contro Kramer

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Ci sono ricascata. Va così ogni santa volta. Il solito, annoiato zapping serale, la testa svuotata dalla giornata di lavoro, il divano: una combinazione letale. Non ricordo su quale dei troppi canali digitali sia andato in onda, ma non ho potuto resistere. Ho guardato la milionesima replica di Kramer vs Kramer (mannaggia a me). Per i pantaloni a zampa di Ted-Dustin Hoffman? Per quegli zigomi così teatrali e significativi? Per il volto magnificamente diafano di Joanna-Maryl Streep? Macché! È il bambino, che mi frega. Justin Henry, oggi affermato attore statunitense, in quel film impersonava Billy, il figlio della coppia scoppiata per antonomasia. Un nanerottolo dallo sguardo acceso e il profilo imbronciato sotto un caschetto di capelli biondi e lucenti. Bellissimo e bravo da far paura. La pellicola è del Settantanove. Avevo tre anni, quando apparve nelle sale cinematografiche.
Centocinque drammatici minuti di cose già viste, in tutti i sensi. Il film, le liti, le incomprensioni, le ripicche, i tribunali.
Ho lasciato scorrere le immagini, da perfetta masochista, trepidando nell’attesa di un finale che conosco a memoria. Potrei recitarne ogni singola battuta a occhi chiusi. I due ex coniugi si contendono il figlio. Il giudice affida il piccolo alla madre, nonostante abbia abbandonato il tetto coniugale per un anno e mezzo, lasciando bambino e marito al proprio destino. Ted non vuole che Billy subisca il trauma del processo d’appello e rinuncia alla custodia. Ma Joanna è Meryl Streep, per dindirindina!, mica un’inascoltabile attrice italiana qualunque! Riesce a sembrare credibile mentre, dopo aver spiegato (al più affranto Hoffman mai visto in tv) di aver compreso che Billy, con il papà «è già a casa», straziata, dice a Ted: «Io gli voglio bene, tanto. Non lo porto via con me».
Un bambino che resta tale, conteso perché amato profondamente da due genitori disposti a rinunciare al proprio orgoglio per il suo bene; non un pacco (bomba) postale, come accade nella realtà di tutti i figli separati. Non un grimaldello emotivo in carne e ossicini. Non la lama affilata di un coltello tornito nel ricatto.
Se vi capitasse, guardatelo. Seguite con un fil di fiato Joanna che sale in ascensore per salutare il bambino; e preparate i fazzoletti: il pianto a fontana è inevitabile. Forse perché ‘ste cose capitano giusto in uno stramaledetto, pluripremiato film americano. O magari perché la generosità è commovente.
O forse perché, nelle foto, i nostri genitori, con occhiali panoramici e stivaletti anni Settanta, continuano a fare una pessima figura.

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ALESSANDRA FRONTINI

Non sapete chi sia Elianto? Leggetelo! Ma no, non qui, che avete capito?! Correte in libreria, scartabellate i titoli presenti sotto la lettera B di Benni (Stefano, caproni!), et-voilà! Un sognatore, caparbio e curioso. Un'imbratta-carte, nel mio caso; che scrive perché le va, niente di più, niente di meno. Alessandra Frontini, all'anagrafe. Non chiedetemi perché.

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