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Racconti

La vendetta dell’ascensore

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Immagine di Aglaja

Cornelius Weiss Centini rientrò la sera di venerdì 12 agosto. Era un uomo astuto, avido, egoista e criminale, ma sempre nel rispetto delle leggi che piegava ai suoi voleri. Provava quasi un orgasmo quando riusciva a fregare qualcuno o, meglio, a imporre il suo potere per concludere un affare. Viveva per gli affari. CEO della Eco Luxury Car si era costruito la carriera corrompendo o distruggendo chiunque osasse ostacolarlo. Anche le commissioni di controllo internazionali sulle emissioni inquinanti. Infatti le auto della E.L.C. avvelenavano l’aria più d’un carro armato Leopard ma risultava che emettessero dagli scarichi l’aria balsamica di Cervinia. Esteticamente stupende rivaleggiavano con i marchi più prestigiosi. Andavano molto di moda tra i ricconi come lui che, dopo una vita passata a distruggere il pianeta, si scoprivano ecologisti. Era appena tornato da un mesetto di vacanza in Thailandia dove andava spesso anche solo per un week – end. La sua passione per il potere trovava il suo coronamento quando si univa al sesso. Specie se le partner erano ragazzine che lui abusava spesso e volentieri. Sotto il portone del suo attico di 400 mq. congedò l’autista dicendogli che era libero fino a dopo ferragosto. Si voleva proprio riposare dopo le troppe orge thailandesi. Faceva un caldo torrido ma lui aveva già attivato la climatizzazione appena atterrato e pensava al paradiso dei 22 gradi che lo attendeva assieme al Dom Perignon, rigorosamente a 9°, che avrebbe accompagnato la cena nella sua domoticissima residenza quasi regale. Entrò nell’ascensore, climatizzato anch’esso, e provò un intenso brivido pensando alle due bambine di tre giorni prima. Ottomila dollari ben spesi. La sua libidine era diventata incontrollabile come mai gli era accaduto. Neanche con la coca. Si stava eccitando quando l’ascensore si arrestò bruscamente. Si accese la lampada d’emergenza e, nel silenzio sepolcrale del palazzo vuoto, udì il rassicurante rumore del generatore. Ma la luce andò via ed il generatore si bloccò. Era solo. Spasmodicamente estrasse dalla tasca il suo smartphone da 2000 dollari. Niente campo, nemmeno per le emergenze. Cominciò a sudare per la paura ma sopratutto perché la temperatura saliva velocemente. Il termometro segnava 36°. Dopo un minuto 39°. Tempestò di calci e pugni la cabina urlando ma nessuno poteva sentirlo perché nessuno c’era. Sentì che era giunta la sua ora ed era terrorizzato. Tremava e sudava. 42°, 47°, 52°. L’ascensore era un’impenetrabile tomba buia e blindata. Senza forze si abbandonò sul pavimento in attesa della morte. Disperato come quelle due bambine. Stava morendo e la Terra sicuramente non avrebbe sofferto per la sua scomparsa. Distinse una voce nell’agonia. La sua voce: “Capolinea. Non c’è più nulla da fare. Buon viaggio all’inferno. Consolati; fa meno caldo.” Morì, tra rimorsi e rimpianti, odiato, con queste parole ad accompagnarlo. L’ultima allucinazione. Ciò che aveva udito era soltanto il rumore del generatore che aveva ripreso a funzionare.

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GIORGIO LAIKA VANNI

Ho iniziato a scrivere a 15 anni le cronache dei concerti del Grande Rock che passava per Roma. Né critiche né recensioni ma la trasmissione delle emozioni sull'onda della musica, specie il progressive. Ci presi gusto e tra lunghe pause, crisi, sopravvivenza e altro pubblicai il mio primo romanzo nel '98, "Oltre la nostra frontiera" da cui trassi uno spettacolo teatrale che ha girato un po' tra Roma, Napoli e l'Italia centrale. Poi venne "L'uomo che ritorna" e il copione teatrale "Damnatio memoriae" centrato sulla storia di Celestino V. Ammiro gli autori visionari come Orwell e Huxley, non mi so vendere, mi sento spesso un pesce fuori dall'acqua ma studio "cinismo" e "sarcasmo" da anni, purtroppo con scarsissimi risultati. Collaboro con LRì da agosto 2017 che ringrazio per la visibilità che mi concede e cerco di ripagarla con le mie "visioni", criticabili quanto si vuole ma quasi sempre fuori dal coro e non scontate.

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